Con Matteo Domenichetti e Milovan Farronato su MyceliuMinds
MyceliuMinds, progetto inedito di Matteo Domenichetti e Milovan Farronato, può essere definito come un tentativo concreto di resistenza politica: un atto di condivisione che attinge alla metodologia e identità digitale per plasmarla dal suo interno. Questo progetto è incentrato sul tracciamento merceologico compiuto sulla – e attraverso la – nostra identità digitale, andando ad alterarla. MyceliuMinds viene spiegato e introdotto attraverso tre video, editi come se fossero prodotti da tre note pubblicazioni periodiche, i cui nomi sono stati storpiati. Nel primo video, dell’ipotetica rivista “Dogue”, Mark Zuckerberg, interpretato dall’artista Sagg Napoli, racconta alla sua psicanalista di aver avuto un incubo scaturito dopo aver visto la pagina Instagram @canis_in_somno. Qui un personaggio con la maschera di un cane, chiamato P.O., mette in guardia ragazze e ragazzi dai “rischi dell’inquinamento dell’ecosistema virtuale, dalla raccolta furtiva dei dati e dai conseguenti meccanismi di manipolazione da parte delle tech companies”. A questo primo video ne fanno seguito altri due, in cui P.O e la sua ombra propongono soluzioni alternative per sovvertire questa situazione. È qui che viene introdotto il nocciolo del progetto, quello che è conosciuto a oggi come swinging club, una pratica di scambismo virtuale in cui diversi utenti si scambiano i profili Instagram per un periodo di tempo, utilizzando password temporanee. In questo modo, gli utenti si appropriano a tutti gli effetti dell’account ospite, stravolgendo in questo modo l’algoritmo.
Incapace di decifrare il comportamento dell’utente, all’improvviso completamente diverso dal profiling riconosciuto, il capitalismo di sorveglianza crolla, vittima di un hackeraggio imprevedibile. Il profilo Instagram @canis_in somno funge da archivio e documentazione del progetto, riportando spezzoni dei vari scambi avvenuti finora: le regole non sono arbitrarie, chiunque può partecipare, in uno scambio social che può durare da una singola settimana a diversi mesi. Questo gioco apparentemente innocuo è dunque un esperimento che va a toccare le radici del tessuto digitale esistente: se applicato su larga scala potrebbe generare un crollo effettivo del sistema.
Il nome del progetto è ispirato al micelio, il corpo labirintico dei funghi, uno speciale tessuto connettivo capace di collegare gli organismi viventi tra loro. Come un tessuto rizomatico nel sottosuolo, fertile nella sua profondità, si espande sui social media in un crescendo di adesioni: lo swinging club è un esempio di resistenza politica nel digitale, innescato da quello che è, di base, il trionfo della condivisione, che attraverso la manipolazione dei suoi stessi strumenti mira alla sovversione del capitalismo della sorveglianza.
- Studiando il vostro progetto ci sono moltissime cose da analizzare. In primis, la domanda che mi è sorta è perchè il passaggio Freudiano? Come mai avete scelto come incipit una sessione di analisi e la dimensione del sogno per approcciare questo progetto? C’è una correlazione tra la dimensione onirica e la sorveglianza digitale? Oppure è stato semplicemente un escamotage per simboleggiare un mondo parallelo, possibile in una dimensione lontana ma immaginabile?
MD: Il sogno in cui appare P.O. è un sogno lucido, un tipo particolare di esperienza onirica in cui il sognatore è consapevole di trovarsi in uno stato di sogno e può partecipare attivamente alle dinamiche del sogno stesso. Il sognatore lucido spezza la catena dell’automatismo dei sogni subiti solo passivamente, spesso già dimenticati al risveglio. È sicuramente una metafora, ma anche una predilezione narrativa. Genesis Porridge usava spesso questo motto: OUR AIM IS WAKEFULNESS OUR ENEMY IS DREAMLESS SLEEP.
- L’utilizzo di Zuckerberg è, invece, palesemente chiaro nella sua geniale ironia. Altro parallelo interessante è la metafora del micelio, un tessuto rizomatico fertile che si espande. Che cosa succederebbe se lo swinging club fosse davvero adottato da migliaia di persone? È possibile che l’algoritmo stesso sviluppi gradualmente un modo diverso di operare e adotti anch’esso una metodologia di controllo fluida, frammentata? Che in fondo è un po’ quello che sta accadendo negli ultimi tempi…
MD: Il sistema digitale in cui ci muoviamo è in fondo rigido e interessato a farci muovere su traiettorie, ma è anche flessibile e chimerico nei suoi meccanismi di difesa. Hakim Bey, anarchico della bilancia, con razionalissima ponderatezza segnalava in un suo libro famoso deli anni ’90 una differenza sostanziale tra rivoluzione e insurrezione. La prima punta alla permanenza, o comunque alla durata, la seconda è temporanea, è un’operazione di guerriglia che libera un’area e poi svanisce per formarsi altrove. A questa zona liberata per un poco, Bey dà il nome di TAZ, zona autonoma temporanea. E si parla di anarcomanzia, di rabdomanzia di TAZ potenziali, già a quel tempo profetizzava sul fatto che il web sarebbe stato terreno fertile per queste pratiche. È difficile, quasi impossibile, che lo swinging club possa davvero concretamente ferire Golia. Però, credo possa situarsi in quel frangente di tentativi atti a creare un errore momentaneo del sistema. Soprattutto non credo che la sua valenza si debba ricercare nella sua riuscita, la dichiarazione di intenti è volutamente iperbolica e guerrigliera. Credo possa avere benefici come quelli che potrebbe avere un racconto utopico/distopico che prova a buttarsi un po’ più in là, mostrando alternative disperate, macchinose, ma che sono comunque letture del presente.
- L’idea di un profilo social come di una casa, che tu inviti a essere abitata da chiunque voglia, fa di un account Instagram un contenitore, una dimensione intima piena di oggetti personali, aperta a ospiti, da prestare, affittare. In relazione a questo mi sono chiesta se non cambi anche l’habitus, il set di schemi socio culturali che forma una persona “nel mondo”, digitale e non. Voi che avete sperimentato lo scambio in prima persona, avete notato l’adozione di approcci diversi nella “casa” di qualcun altro? Se sì, in quale modo si manifestava questo shift in habitus?
MD: Pensare al profilo come a una casa mi sembra una proiezione sana, ti distacca dell’illusione di poterci coincidere. Questo diventa evidente quando scegli di lasciarlo per darlo in prestito a qualcun’altrə. Una volta ad un forum al centro sociale Leoncavallo qualcuno ci ha suggerito di immaginare lo scambio più come una possessione. Trovo sia un’immagine suggestiva, ma non realistica.
Entrare in un profilo nuovo significa trovarsi davanti a un nuovo ambiente umano, che può essere più o meno aperto a questi esperimenti, più o meno interessato a interagire con te. Mi sono scambiato molte volte, credo 12 finora. A volte ti trovi davanti a muri di silenzio, altre volte hai la fila di vicinə sconosciutə che bussano alla porta. Credo che gli approcci cambino da persona a persona e da profilo a profilo. Il cambio di habitus, come lo definisci tu, può essere una tentazione immediata: non appena arrivatə, desideri trovare alleatə, incuriosire, avere reazioni. Viene automatico aggiustare il tiro, regolare l’approccio.
Forse, alla lunga questo cambiamento potrebbe configurarsi come un processo naturale, bisognerebbe sperimentare degli scambi molto lunghi per capirlo, magari di un anno intero o più.
- Sono molto interessata, oltre all’esperimento in sè, agli strascichi, gli indici, le tracce che lascia. State monitorando come e se si riassesta l’algoritmo dopo lo scambio? Quanto ci mette a ritornare sui suoi passi? Si notano delle varianti o torna a proporre le stesse cose che faceva prima dell’esperimento?
MD: Il paesaggio cambia e non torna più lo stesso. Direi che entrano in gioco due aspetti, quello algoritmico e quello prettamente umano. Gli algoritmi si ri-settano velocemente, in pochi giorni tornano a proporti le stesse cose. A volte confusamente ti ripropongono contenuti che risalgono a quei periodi in cui non eri “a casa”. Ma il panorama visto dalla finestra non è fatto solo di quello. Durante gli scambi le persone portano negli altri profili amicizie, conversazioni, fonti, riferimenti. Queste presenze rimangono, diventano pian piano familiari, alterano il paesaggio.
Non abbiamo fatto finora uno studio scientifico di queste alterazioni. Noi raccogliamo storie e impressioni, positive e negative, ne discutiamo. Alcuni nostri amici neurodivergenti, ad esempio, ci hanno fatto presente che trovarsi di fronte a vari profili scambiati è stato causa di forte stress. Mano a mano che sperimentiamo, noi cerchiamo di costruirci un galateo, un vademecum fatto di regole condivise di ospitalità e di buon vicinato.
- Pompeii Commitment, di cui mi avete accennato, potrebbe essere già considerato come un secondo spin off del progetto. Potete parlarmi di che cosa si tratta e di come sta andando?
MF: È sempre dal profilo di @canis_in_somno, connettore di varie declinazioni del progetto, che insorge anche la narrazione per Pompeii Commitment: un video inteso come episodio pilota di Black Mirror accompagnato da una serie di NFT visualizzati come poster. Tra utopia e distopia, Pompei Conspiracy. Clever Dogs to Stay Out of the Sun! continua a commentare il sistema melmoso dei social network, aggiungendo osservazioni critiche anche su quello dell’arte e del mercato dell’arte contemporanea. Il video utilizza la finzione narrativa mainstream della celebre serie britannica complicandone il linguaggio e rendendo difficile liquidarla con una facile condanna o una semplicistica redenzione. Un gruppo di patron si dichiara pronto a investire una somma ragguardevole per creare il più maestoso monumento digitale che la storia abbia mai visto e promette il profilo @pompei_parco_archeologico in scambio a undici tra i proprietari degli account più influenti su Instagram. Una sorta, forse, di rievocazione 2.0 del mito di Proserpina e dei misteri di Eleusi. All’inizio del video una frase appare, insinuando un’esistenziale biforcazione. “Sei parte del problema o sei parte della soluzione. Non c’è nulla nel mezzo.” Il motto del Black Panther Party invita a una presa di posizione netta. Tuttavia, una volta intrapreso l’uno o l’altro percorso, le strade inizieranno a incrociarsi, come la doppia elica del DNA, e i confini tra l’una e l’altra risposta perderanno di nitidezza. Chi sono questi patron avvolti nell’anonimato di comode felpe con impresso il nome dell’autrice partenopea Elena Ferrante, simbolo di un’autorialità celata? Sono dei visionari oppure investitori scrupolosi, o entrambe le cose contemporaneamente? La Babele che intende svettare nel cielo dei feed di mezzo mondo distruggerà un sistema sbagliato o offrirà una via di fuga, un altro stomaco per digerire la resistenza che ha prodotto? I quesiti si infittiscono quando appaiono fake news relative agli esiti dello scambismo e il livello di contraddizione tocca l’apice nella serie di NFT pensati come una serie di undici poster (tanti quanti i personaggi) in cui viene ripresa una vecchia vignetta femminista del gruppo anarchico austriaco KSV, dove una donna con un martello promette di schiacciare il patriarcato. I paladini del data justice più luddista e sovversiva sono qui i personaggi che più di chiunque altro (azionisti di Meta esclusi) guadagnano popolarità e denaro dai social network. Kim Kardashian, Justin Bieber e Zendaya, tra gli altri, si aggirano minacciosi in ectoplasmatici data center impugnando le armi della rivolta. In conclusione, vale la pena rivelare che il sottotitolo Clever Dogs to Stay Out of the Sun! è ripreso da un commento sotto un post di @pompeii_parco_archeologico con un’immagine di cani randagi. Ombra come luogo della contro-cultura operosa, come safe place per esplorazioni alternative. I cani fabbricano la resistenza all’ombra del privilegio o medicano il privilegio all’ombra della resistenza?
Ci piacerebbe presentarlo altrove, al di fuori della piattaforma digitale del progetto per cui è nato e, per quanto concluso in sé, ci piacerebbe complicare la trama e la riflessione tra realtà e finzione e visualizzare altri scenari generati da un monumento con tali implicazioni, artistiche e sociali.
- Senza connotazioni positive o negative a riguardo, in generale stiamo assistendo ad un assottigliamento graduale tra la dimensione virtuale e quella “reale”. Mi viene in mente Twitch, o canali di streaming live in cui si mescola il qui e ora con il tempo e il luogo del metaverso, in un mescolio che confonde il confine. Settimane fa stavate mettendo in atto una prima forma “analogica” del progetto, sperimentando, come mi raccontavate, con la correlazione vita reale – vita digitale attraverso un gioco da tavola. Fare in modo che una carta, una mossa, un dado lanciato nel qui e ora si possa traslarsi in una serie di conseguenze sui social media è un esperimento estremamente intelligente e interessante, perchè va a colpire esattamente quel gap difficilmente collocabile tra vita reale e vita virtuale. Come vedete in generale questa dicotomia? Si può ancora parlare di un effettiva differenza tra questi due poli?
MD: Ricordo un frammento di Glitch Feminism in cui Legacy Russell evidenziava come l’espressione IRL (In Real Life), usata finora per indicare la vita “reale” in opposizione a quella virtuale, avesse ormai perso di senso. Forse anche le espressioni AFK (Away From Keyboard) e AFD (Away From Devices) perderanno di significato, mano mano che i devices diventeranno più integrati. Questa specie di futuro panteismo del virtuale sembra essere inevitabile ed è entusiasmante e preoccupante insieme, per questo credo vadano analizzate già da ora le dinamiche di potere che entrano in gioco. I social sono campi di gioco già rodati in cui possiamo analizzarle più facilmente.
Credo il punto sia nel tentare esperimenti per forzare la rigidità dei format e creare movimenti non previsti, di fluidità anarchica. È un modo queer di vivere le piattaforme. A volte partire da un terreno analogico potenzia queste operazioni.
Il gioco da tavolo non è il primo esperimento che facciamo, avevamo anche elaborato degli speed-date per scambisti di profili.
- Come credete si possa svluppare ancora questo progetto? State esplorando altre forme di scambio?
MF: La metafora fondativa è quella del micelio, di una ramificazioni di informazioni e comunicazioni potenzialmente infinita. Il progetto fin dall’inizio si è caratterizzato anche per le sue innumerevoli collaborazioni, pronto a declinarsi per raggiungere una audience diversificata. Contempla le mutazioni suggerite dalle circostanze in cui è chiamato a presentarsi. Ad esempio, come citavi poco fa, è diventato anche un gioco da tavola, dal titolo Flop House. Flop House è simile al gioco dell’oca e i partecipanti, divisi in due squadre, devono mettere in discussione, attraverso una serie di imprevisti, la loro identità digitale e la loro presenza nei social. Sarà molto difficile arrivare alla meta. Alcuni imprevisti potrebbero richiedere, ad esempio, di cancellare tutte le foto e tutti i video della propria pagina o di permettere alla squadra avversaria di bloccare 30 persone a loro scelta tra i propri follower, senza rivelare i nomi, o di perdere tra i follower tutte le spunte blu. O ancora: essere costretti a invitare un partecipante avversario nel proprio profilo con l’intento di postare 50 contenuti. Chi accetta la sfida va avanti, chi rifiuta retrocede, insieme a tutti i membri della propria squadra. Immagino Flop House come un oggetto, un’edizione artisticamente completa nella forma e nel design. Lo immagino anche come un gioco da fare from remote, ma la ritengo sopratutto una Content House peculiare e altamente performativa che si apre a un pubblico ampio, virtualmente presente attraverso le piattaforme o fisicamente coinvolto nella sala da gioco.