È un privilegio probabilmente, nel qui e ora, avere l’occasione di attraversare piacevolmente il medium digitale. Vi ricordate di quello sguardo ingenuo e fiducioso, decisamente magico, di cui era velata l’esperienza interattiva multimediale nei primi anni 2000? Console, messaggistica, rete wireless veloce, pornografia e videoludica diventavano per noi qualcosa di normalizzato e orizzontale, una radicale mutazione immaginativa. È raro ma succede, che fra due sistemi di vetri e immagini, nell’ubiquità delle stanze contemporaneamente a Vicenza e Bologna con tutti i connessi delle buste di tè appese al quadro e la rete da letto appoggiata alla parete, due persone si possano incontrare.
Insomma: succede che con Eugenia Galli si inizi a registrare una conversazione non preparata intorno al suo lavoro con il progetto di poesia performativa Monosportiva Galli Dal Pan e il collettivo di poesia multimediale Zoopalco, sentito parte di sé a tal punto da dover spesso sconfinare nel “noi”.
Performer a chi?
Dopo le prime battute di assestamento, è emersa subito da entrambi la volontà di fare dei distinguo, ridurre l’ambiguità del concetto di arte performativa: intanto convenendo che non si dà prodotto artistico (Opus) senza processo creativo, e che ciò che rimane dell’aura dei prodotti basati sul concetto di opera, qualunque essi siano, è dato dal fatto di occultare il processo creativo ed espellere progressivamente l’errore dagli stessi (secondo atteggiamenti e posture già moderniste, fra Eliot e Gasset). Dato che tutto è performativo e produce oggetti, abbiamo spostato poi il campo della contrapposizione fra quelli che rifiutano il nascondimento modernista (Eugenia sta di qua), e quelli che ancora lo sfruttano (io sto di qua): ecco che la distinzione sta fra arte a processo visibile e arte a processo occultato. Ovviamente non si tratta di barare o non barare, essere o non essere onesti: l’interesse espresso da Eugenia e i suoi colleghi è quello di offrire la consapevolezza di un meccanismo come parte integrante del risultato. Ecco perché, con Zoopalco, hanno fondato un progetto finalizzato a rendere accessibile il processo variantistico nel contesto della scrittura digitale (PoetyQwerty), ed ecco perché si considerano artisti in quanto operatori culturali, puntano così tanto l’accento sulla possibilità di comprensione e modifica del reale. Infine, ecco perché Eugenia predilige la multimedialità come luogo del montaggio delle competenze, e produce opere sempre e soltanto per un medium specifico, non trasportabili o smembrabili (così è per i suoi testi e le produzioni della Monosportiva).
La non ripetibilità
Nel campo della musica classica da cui provengo, c’è una forte normatività dell’atto performativo, veicolata da un’idea autenticista dell’esecuzione e da un’organizzazione piramidale che vede al suo vertice i compositori morti. In questo mondo (con cui sono in conflitto) l’irripetibilità della performance è, se non taciuta, messa fra virgolette, e l’opera è pensata per rimanere integra e riconoscibile in ogni contesto. La processualità dei tipi di Zoopalco è invece basata sull’attraversamento costante di questa irripetibilità, ed è la conseguenza di quella processualità di cui sopra l’adozione di una prospettiva sito-specifica e medium-specifica. Inoltre, Eugenia specifica, il contesto del palco non è quello del reading, le variabili e le interazioni del pubblico sono maggiori, così come il rapporto fra chi si esibisce prima e chi dopo, le modalità percettive e gli aggiustamenti necessari. Cambio di luci di Riccardo Iachini, per esempio, è uno spettacolo che, per funzionare, sceglie di volta in volta una persona specifica del pubblico e la elegge a spettatore-collaboratore privilegiato, o sparring partner.
Codici
Eugenia si dice poco interessata ai codici eurocolti e sperimentali, in quanto per lei la fruibilità e la comprensibilità immediata sono irrinunciabili, ma mi fa presente che, anche nel contesto dell’arte performativa processuale, ci sono grandi oscillazioni di riferimenti e tasso di complessità. Siamo poi finiti a parlare di eredità e dialogo, del fatto che numerosi produttori testuali della nostra generazione, serenamente “rammolliti”, vedano sempre di più l’insieme di tradizioni da cui provengono come thesaurus, opportunità di codici a bassa carica oppositiva da cui pescare lascivamente. Eugenia dice che questa corsa verso il multi (-mediale, -tradizionale, -autoriale) è da rivendicare, malgrado il rischio di spersonalizzazione, e questa condizione ci pone tutti sulla stessa barca. È la stessa condizione che ha permesso questo articolo.
Esposizione e testualità
Quando confesso a Eugenia del sostrato biografico non dimostrabile che percepisco in “TA-TA-TA” (2019), primo lavoro della Monosportiva, viene fuori che, in una prospettiva non lirica, è in realtà una biografia collettiva quella che lì prende vita. L’allontanamento dell’ombelicale è una prerogativa per lei (per tanti, in realtà) ed è legato alla dimensione sociale del suo lavoro nelle scuole dell’urbanità bolognese. Andando avanti ci troviamo d’accordo sul fatto che, anche nei contesti testuali classici, i lavori più interessanti degli ultimi anni hanno giocato sull’implosione-esplosione della telecamera fissa della prima persona, resa sempre più inclusiva. Inoltre, pensiamo entrambi che la politicità dell’opera non può ridursi al suo lavoro nel campo dei linguaggi, ma è davvero reale solo se opera qualche modificazione sociale e istituzionale, se anche la sua diffusione è pensata in questo senso.
Divulgazione e diffusione
Su questo argomento ci siamo spesi parecchio, ma riassumendo: Zoopalco opera sia nelle scuole che nei contesti di disagio, Eugenia ha messo in rilievo che spesso i bandi stanziati per questi contesti sono controversi, mossi da un atteggiamento gentrificatore o da un piglio colonialista nei confronti degli strati socioculturali più bassi, spesso inoltre costringono le associazioni a dotarsi di una patinatura sociale che in realtà non avrebbero e le portano a farsi strumento di soggetti politici via via differenti, togliendo risorse al reinserimento. Entrambi abbiamo espresso inoltre la perplessità per la prospettiva storicistica e frontale nell’insegnamento della poesia, che nei contesti di cui sopra potrebbe fornire degli strumenti autonarrativi e autoespressivi, il che sarebbe molto più urgente; e ci siamo fatti una risata sull’idea che, per esempio, il poetry slam possa funzionare come una “droga di passaggio” per far avvicinare il pubblico ai codici complessi.
Ancora Monosportiva: il corpo
In “TA-TA-TA” la fisicità è rappresentata in tutte le sue dimensioni. Da una parte troviamo il corpo come strumento, sia nel lavoro (un medico) sia nello sport (la protagonista), che offre una possibilità di radicamento e di semplificazione in quanto i suoi risultati sono misurabili e quantificabili. Tuttavia, nel momento in cui i prodotti del corpo sono oggetto di aspettative di tipo performativo non negoziabili, da produrre nel qui e ora, ecco che da radicato e macchinico il corpo diventa fonte di disagio e stress, di un profondo senso di inadeguatezza. Dall’altra parte troviamo il corpo come finestra sul mondo, modalità del piacere, generatore-fruitore di un’esperienza non categorizzabile, aperta. Infine il corpo che racconta tutto questo salendo sul palco: i due elementi della Monosportiva che, attraverso il medium multimediale-performativo, carnalizzano la narrazione.
“Fare poesia con gli strumenti della pornografia”
In questo saggio della Monosportiva, contenuto in Giù le mani dal futuro (a cura di Marco Philopat e Lello Voce, Agenzia X, 2021) si sondano le possibilità della virtualizzazione della performance di poesia, anche a fronte della digitalizzazione di massa a cui tutti abbiamo preso parte, e lo fa a partire dagli inediti con cui ha vinto il Premio Dubito. Eugenia e Lorenzo mettono in luce come la pornografia sia stata la prima forma d’arte a sfruttare al massimo le possibilità dei nuovi media (per esempio il visore VR), e a creare uno spazio nuovo di rappresentazione pornografica che non fosse né un video né uno striptease. Il porno rappresenta un modello sperimentale per la Monosportiva, che si sta orientando verso un’idea di “Onlyfans della poesia” (impossibile non citare a riguardo Howphelia, il nuovo progetto di Ophelia Borghesan) che ho avuto la possibilità di visionare in anteprima mette al centro anche tematicamente le dinamiche sociopolitiche della pornografia mainstream e non, con tutta la sua mitologia. Restiamo quindi in attesa di nuovi sviluppi: Eugenia e io ci salutiamo.
Eugenia Galli (Rimini, 1996) è un’operatrice culturale del collettivo Zoopalco di Bologna. Suoi sono i testi e la voce della Monosportiva Galli Dal Pan (spoken music).
In copertina: una performance di Huang Wenya. Fonte.