Odissea nel Quaderno – Murrocu su Ottonello

Questo è il sesto articolo della rubrica Odissea nel Quaderno, dedicata alla recensione delle sillogi contenute nel XV Quaderno di poesia contemporanea (a cura di Franco Buffoni, Marcos y Marcos 2021). Questa volta ci occuperemo della silloge Futuro remoto, di Francesco Ottonello. Qui puoi trovare le altre uscite.


Futuro remoto si presenta come plaquette strutturata su più livelli, ciascuno dei quali pone le premesse per la comprensione del successivo e al tempo stesso lo giustifica, in senso estetico. Uso il termine giustificare non perché il testo manchi di sussistenza, ma perché tradisce un’operazione di tipo conoscitivo i cui esiti necessitano una giustificazione in primo luogo estetica e solo in seconda istanza ontologica. Questo procedere per livelli o gradi di verità richiederebbe inoltre un adeguamento dello stile, ma anche della forma (termine che uso nell’accezione di modello o archetipo, vicina al significato della parola greca εἶδος) alla visione o alla non visione del mondo cui i testi rimandano.

Ho parlato poco fa di archetipi: il testo di Ottonello ha dei debiti evidenti verso la poesia di Antonella Anedda (penso in primo luogo a Historiae, uscito per Einaudi nel 2018) e tuttavia l’autore attraversa il modello di riferimento, utilizzando una commistione di sardo e italiano che era propria dell’Anedda di Historiae, per giungere a esiti differenti, nella resa formale come nel senso, ammesso che sia possibile distinguere i due aspetti.

In primo luogo, l’impasto linguistico di sardo e italiano è presente soprattutto nella prima sezione del libro intitolata Isola remota ed è funzionale alla definizione e descrizione della dimensione mitica in cui l’io si trova: essa non va necessariamente identificata con l’età prenuragica o nuragica in Sardegna, ma va letta come tempo della mente, caratterizzato da un ritorno all’infanzia e alla dimensione di isola:

«isula ainnanti ‘e sa partida / o ‘e s’abbarrada, a foras unu mari mannu / sa terrafirma chi nch’isfumat et sparessit.»

«intendes a mie in te attecchirende / – / sentirmi attechire in te / questo abile transmembramento / un archeoscavo di forza, una spinta di orizzonti»

«accettare. ricostruirsi. ricostituire / -dare su chi emmo, costruire ‘e nou».

In secondo luogo, il senso ultimo della raccolta è la narrazione del passaggio da tale dimensione mitica a una realtà distopica, quella del metaverso: per rendere conto del cambiamento che investe corpo e mente del soggetto che prende la parola, Ottonello adotta il termine transmembramento: non è solo l’individuo a subire una trasformazione, ma si assiste a un cambio di paradigma in cui l’io, parafrasando Nietzsche, è un ponte. A permanere durante questo cambiamento sono frammenti o scorie e ciò acuisce la sostanziale incomunicabilità tra io e tu, una illeggibilità che riguarda in primo luogo l’io e il suo doppio, incapace di comprendere davvero:

«sa die at a benire. saremo ripensati / la condensa della specie, l’individuo / che si rompe. nel giorno che verrà / – ma qui veniamo soli, trascinati / ingranaggi ruotano all’infinito / errori come pietre non cancellano / le tue ombre e ripetiamo, ripetiamo.»

«lungo il muro, lungo il fiume si va / come un ragazzo ferito che ha visto la vita che scorreva dimenticata / scherzando, a nascondino»

«eppure aspetterai tutta una vita / quel braccio teso ponte di te stesso. / così siamo legati nei secoli più bui»

«cada die pro totus sos mundus et dies / vivi sbranando, sapendo sparire / una volta infinitamente per tutte».

Dal punto di vista linguistico, il già citato impasto di sardo e italiano, l’uso di neologismi provenienti dall’informatica («GPS», «app», «cod error», «canc», «ctrl») e la sintassi a tratti inceppata e robotica risultano congeniali alla struttura della plaquette e adatti a rendere conto della trasformazione di questo io, continuamente lacerato e ricostituito all’interno del processo di cambiamento.

Mi pare tuttavia esista un problema non trascurabile che emerge dalla lettura del testo, un problema stilistico. Lo stile è infatti adeguato alla visione del mondo che l’autore intendeva comunicare e che in maniera parziale, me ne rendo conto, ho restituito sopra, ma in maniera molto evidente nella seconda sezione intitolata Dentro il metaverso la lingua è piegata eccessivamente al contemporaneo e al distopico in una maniera per me poco convincente; si assiste infatti a un rovesciamento della prospettiva: è la visione del mondo a giustificare la scelta stilistica, è l’ontologia a superare l’estetica, la lingua è inoltre adoperata per venire incontro al poeticamente condiviso:

«quarking vales yrcu yuos my slel, not programmed / to barec cod error cTRLL Ctrrll cancc».

«ci risiamo, tu, controlli il GPS dell’app / ipotizzi la distanza, lo spazio che separa / sapendomi in fuga ma senza una fuga»

«ti rifugi in una camera vuota / il nuovo utente non arriva più / scappi di fretta, fuga di miliardi / in un sogno sgocciolato dal cielo / – / nero ritorno, non ricorderai più / come sei stato tu e io come sarò»

«la parabola opaca della scienza / prostrata da un’indefinita pressione. / silenzi aborigeni estinti da un bene / le ossa robotiche che non sazieranno».

Resta il fatto che la struttura della plaquette funziona, la visione del mondo è commisurata allo stile e quest’ultimo rende conto, con le eccezioni di cui sopra, della dimensione nonché del tempo mentale di chi l’isola è costretto a lasciarla, a tornarvi, non lasciandola mai veramente.

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intendes a mie in te attecchirende



sentirmi attechire in te
questo abile transmembramento
un archeoscavo di forza, una spinta di orizzonti
per disapprendere tra eoni e galassie
ciò che pensavamo fosse dolore
accettare. ricostruirsi. ricostituire

dare su chi emmo, costruire ‘e nou

*

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sarai cibo per quelli che verranno
se continui vivo morto nel pianeta

nel metaverso esisterai per sempre.
abbonati prima che scada l'offerta
facilmente scorderai il corpo
sarà vita la scelta irreversibile
morte un antico remoto rimosso.
potrai resettarti, rifare da capo
un nuovo spazio una figura un amore
congeniali al tuo avatar virtuale

dal corpo smàrcati, esisti tu solo
codificato ora per sempre

*

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siamo in un corpo lo chiamiamo noi
non lo vedo ma sì che ci vedo bastardo
ma ti amo e so che mi ami, amati
da noi in nuovo pianeta, o metaverso
dov’è la madre? senza un solo bimbo
nulla più esiste che fu concepito
allenati a scordare, rimuovi il rimasuglio
ci inghiotte succhiando via idrogeno

quarking vales yrcu yuos my slel, not programmed
to barec cod error cTRLL Ctrrll cancc
vieni ritorna, nostro italiano

*

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sogni di trovarmi là, ancora in quel prato

ci risiamo, tu, controlli il GPS dell'app
ipotizzi la distanza, lo spazio che separa
sapendomi in fuga ma senza una fuga
dissoluzione di tutti i tuoi mali
interdizione, una vita per tutti

quanti ragazzi saranno ora lì
al posto nostro, forse io in Cina
tu in affitto in una città non mia
compreremo del pollo in offerta
pentiti di avere per nulla una vita

Fotografie: Trent Davis Bailey, The North Fork (2011 – 2018)

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