1. Il nonno dell’«alieno»
Sei uno sceneggiatore e stai lavorando a un film ucronico su uno sbarco alieno avvenuto nel 1570 d.C.. A corto d’idee, chiedi aiuto a un medium che ti mette in contatto con un artista morto quattrocento anni fa: è Jan van der Straet, un pittore di Bruges, noto ai più come Giovanni Stradano. Illustrando il tuo progetto, gli mostri l’immagine di un bug-eyed monster, un insettoide dalle membra grigie e spigolose: «Questo è un prototipo dell’alieno nel ventunesimo secolo» gli dici; «e il vostro?». Il medium afferra la matita e disegna una balena con una cresta carnosa sulla testa, una proboscide ritorta, due occhi vuoti, succubi, annichiliti: ecco il suo alieno rinascimentale.
Fantasie del genere mi hanno guidato nello studio delle Venationes ferarum, avium, piscium («Cacce di fiere, uccelli, pesci», 1596), raccolta di incisioni su disegni di Stradano, impresse da Philip Galle con versi latini di Cornelis Kiliaan. Dedicate al tema della caccia, esse mettono in scena innumerevoli animali nell’atto di aggredire, difendersi, soccombere ai colpi dell’uomo. Il mostruoso cetaceo che ho descritto poco fa compare effettivamente nell’ultima di esse, con la sua emblematica espressione facciale (è l’ultimo a destra nell’immagine che segue). Mentre leggevo, ipnotizzato dall’esorbitante quantità di ritratti zoologici che le tavole contengono, mi chiedevo: possibile che queste bestie siano i nonni dei nostri alieni?
«The Others: How Animals Made Us Human» recita il titolo di un saggio dello zoologo Paul Shepard. Anche gli animali di Stradano sono una pericolosa «alterità» da domesticare, tanto più minacciosa in quanto mima alcune caratteristiche dell’uomo. La lotta con l’eterospecificità assume così una carica perturbante affine a quella della lotta contro l’alienità, motivo che – da The War of the Worlds di H.G. Wells a Independence day di Roland Emmerich – anima un sottogenere della science fiction e domina l’immaginario collettivo da un oltre un secolo.
Di più: se nel cinema hollywoodiano i conquistatori alieni sono stati a lungo una «proiezione-ipostatizzazione della nevrosi americana di massa dovuta al timore di una aggressione comunista» (1), che dire delle bestie esotiche – coccodrilli d’Egitto, cammelli di Barberia, serpenti indiani – che brulicano nelle tavole di Stradano all’indomani della battaglia di Lepanto (1571), quando Torquato Tasso imbastisce sullo scontro tra Oriente e Occidente la Gerusalemme Liberata?
Animali bizzarri che minacciano la civiltà europea, dalle strade di Firenze ai confini dell’ecumene; e creature esotiche che, nel rassembrare l’uomo, fanno da contraltare a uno schema identitario consolidato, l’animalizzazione del nemico-venuto-dall’Oriente (vedi qui): sbarazzarsi di simili bestie non comporta alcun rimorso.
Non mancano, d’altro canto, creature familiari come l’ape o il beccafico. In questi casi lo sfondo è tutt’altro che esotico: cristallizzando momenti di vita quotidiana, Stradano ci restituisce prodigiosamente la sadica esaltazione dei bambini in un mattino di primavera o la luce delle lampade di cinquecento anni fa, accese per adescare gli animali di passaggio: strumenti di morte che brillano nelle notti del tardo Rinascimento.
2. L’arte di uccidere
Per l’uomo dell’età preindustriale l’uccisione della fera agrestis, l’«animale selvaggio», può assurgere a una forma d’arte, in quanto piega la natura ai bisogni dell’uomo (2). Benché nelle didascalie di Kiliaan la parola ars si riferisca all’impiego di precise tecniche venatorie, la sua accezione generica è sempre dietro l’angolo: «Tirando con gli schioppi in un sol colpo, mentre rotolano / i corpi irti di pelo dentro il fango sporco, opprimere / e uccidere i cinghiali con pallottole impietose / è un’arte, un gran pericolo cacciarli con le lance» (tav. 25, vedi sotto).
Gli animali delle Venationes sono ingannati, assediati, irretiti, scuoiati, mutilati, accecati, fucilati, dardeggiati, impaniati, strozzati. Anche «la volpe ingannevole è ingannata» (vulpecula fallax fallitur, tav. 57), perché, se la bestia è ingegnosa, l’uomo lo è di più. Pochi animali hanno il privilegio di servire il cacciatore, per esempio il cane, il falco, il bue, l’oca indiana (tav. 91); la scimmia, utile in alcune circostanze, in altre va punita per la sua somiglianza all’uomo (tav. 58, vedi sotto).
Nelle tavole sul circo, ove piccole folle incantate guardano le bestie morire, lo spettacolo stesso è metafora dell’ars: l’osservatore delle incisioni si specchia in quello delle tavole, compiaciuto testimone di una dinamica tipica delle Venationes: prima si aizza la belva, poi la si uccide perché cerca di sbranare l’uomo.
3. Un poemetto zoologico deflagrato
Stradano, dicevamo, ma anche Kiliaan, l’autore degli epigrammi – in esametri o in distici – che corredano le tavole: non senza un certo paradosso lessicale per noi lettori del terzo millennio, il frontespizio presenta il primo artista come «depictor», l’altro come «illustrator», colui che «illumina poeticamente» i disegni.
Sfogliando le Venationes è facile scordarsi di Kiliaan. Da una breve ricerca online emerge il profilo, tutto sommato anonimo, di un lessicografo fiammingo del Cinquecento, ma le sue «didascalie in versi» – o piuttosto i suoi «versi didascalici» – meritano qualche riflessione a sé, configurandosi come una sorta di poemetto zoologico deflagrato in frammenti.
A caratterizzare le didascalie di Kiliaan sono certe raffinatezze prosastiche dal sapore pliniano (4), assenti nella poesia antica: verbi come rancare («ruggire»), aggettivi come pyramidalis («piramidale»), sostantivi come apiarius («apicoltore») e stlopus («schioppo»), che designa per via onomatopeica un’invenzione moderna (3), tradiscono il sostrato erudito di questi versi; non mancano d’altronde gli exempla storici, come nel caso di Bardo, l’elefante di Annibale (tav. 7, vedi sotto).
Malgrado gli inciampi metrici, i versi di Kiliaan stupiscono, poi, per la struttura sintattica. Basti l’esempio delle tavv. 7, 16, 84 (vedi sotto), ove l’accumulazione di inarcature e virgole mozza il respiro, costringendo il lettore a una corsa estenuante verso la chiusa solo per fargli balenare davanti – improvvisa, esiziale – l’immagine della morte o della bestia ingannata.
Con riguardo agli aspetti contenutistici e formali fin qui esposti ho scelto e tradotto i versi che seguono, attenendomi ai criteri metrici della rubrica Neolatina, che potete leggere qui; i titoli in grassetto sono una mia aggiunta e la grafia dei testi è uniformata a quella corrente. Per zoomare le tavole in alta definizione, si rimanda alla pagina ufficiale della Bibliothèque Nationale de France, da cui le stampe sono tratte.
4. Le Venationes: un’antologia
7. Hannibalis elephas
Annibal in bello captos confligere cogit
inter se: tantum superest ex omnibus unus;
hic Bardo obicitur; superatur bellua; victor
dimitti pactus, dum poscit abire, necatur.
7. L’elefante di Annibale
Annibale costringe a far la lotta i prigionieri
di guerra: se ne salva uno fra tutti; gli si oppone
Bardo: la belva è vinta; mentre chiede libertà
com’era negli accordi, il vincitore viene ucciso.
16. Tigris decepta
Ex antro catulos venator tigridis aufert,
atque in decipulas et retia tensa, tenellos
quae referant catulos, specula inicit: illa doli expers
veros esse putat, rete intrat, captaque rancat.
16. La tigre ingannata
Il cacciatore porta via dalla caverna i cuccioli
di tigre, e piazza specchi che riflettano l’aspetto
dei piccoli su reti tese e trappole: la sciocca
li crede veri, cade nella rete e, presa, rugge. (5)
25. Aprorum caedes
Explosis apros uno simul impete stlopis,
corpora dum turpi in coeno setosa volutant,
opprimere, et duris occidere glandibus, ars est,
hastis venari cum sit res plena pericli.
25. La strage di cinghiali
Tirando con gli schioppi in un sol colpo, mentre rotolano
i corpi irti di pelo dentro il fango sporco, opprimere
e uccidere i cinghiali con pallottole impietose
è un’arte, un gran pericolo cacciarli con le lance.
28. Cameli caro
Horrida Barbariae regio nutrire camelos
dicitur eximios, miles quas nauticus atram
esuriem patiens venatur. Dura palato
esca gravem ventris placat sistitque latratum.
28. La carne di cammello
Si dice che l’incolta Barberia nutra cammelli
eccelsi, che il soldato caccia, quando va per mare,
soffrendo nera fame. Quella carne, dura in bocca,
placa e interrompe l’uggiolio penoso della pancia.
41. Viscus
Quo venatores oculos lavere catino,
pro lymphis indunt viscum: mox simia visco
os oculosque lavat; capitur lento uncta liquore.
Incidit et caligata in idem quandoque periclum.
41. La pania
Lavàti gli occhi in un catino, i cacciatori cambiano
con pania l’acqua: lava gli occhi e il muso con la pania
la scimmia e, unta dal liquido vischioso, è catturata;
ottenebrata, a volte, cade nella stessa insidia.
47. Satyri venatio
Montibus Aegypti, Nilum prope, turba salacem
feminei generis Satyrum clamore, tumultu,
fustibus et contis propere sectatur, at ille
insanam ridet turbam, repetitque latebras.
47. Caccia al satiro
Sui monti dell’Egitto, presso il Nilo, una caterva
di donne va di corsa dietro a un satiro lascivo,
tra urla e schiamazzi, con bastoni e aste; quello irride
la folla d’invasate, e se ne torna ai suoi rifugi.
58. Simius simulator
Sic iaculis astuque dolo per frondea rura
humani capitur simulator simius oris.
58. La scimmia imitatrice
Così con frecce e astuzia lungo i campi frondeggianti
si cattura la scimmia, che scimmiotta il volto umano.
76. Venatio vernalis
Cerea sic torto capitur ficedula reti
aurea frugiferos dum tollunt tempora vultus.
76. Caccia di primavera
Così si prende in reti torte il beccafico bianco,
quando solleva il volto pingue la stagione d’oro.
84. Lumina nocturna
Melliferis infesti apibus sunt papiliones.
Excitat insecti genus hoc apiarius, et sub
vase locat noctu flammantia pyramidali
lumina; eo volitant, flammaeque ardore necantur.
84. Luci nella notte
Ostile è la farfalla alle api mellificatrici.
L’apicoltore adesca questo genere d’insetti
e pone a notte lampade fiammanti sotto teche
piramidali, in cui volano e muoiono nel fuoco.
85. Puerilis ludus
Conscendunt celsas pueri turresque domosque,
chartarum discos angusta parte patentes
flante aura spargunt, incautaque hirundo foramen
ocyus involitans, rima retinetur in arcta.
85. Un gioco da ragazzi
Salgono in cima a case e torri, spargono i bambini
dischi di carta in cui è intagliato un piccolo spiraglio
se il vento soffia; incauta, vola in fretta contro il buco
la rondine e rimane presa dentro la fessura.
101. Mensa fluitans
Ludicra piscandi quaedam ars est. Vespere mensae
insistit rutila fulgenti lampade cautus
piscator, placidaque in stagni aut fluminis unda
lumen pisciculos adeuntes decipit astu.
101. La tavola galleggiante
C’è un modo ameno di pescare: il pescatore accorto
se ne sta su una tavola col lume rosso fuoco
e con l’astuzia, tra le onde d’un fiume o d’uno stagno
placide, il lume inganna i pesciolini di passaggio.
104. Maris Erythraei monstra
Navita Erythraeum pavidus qui navigat aequor,
in prorae et puppis summo resonantia pendet
tintinnabula; eo sonitu praegrandia cete,
balenas, et monstra marina a navibus arcet.
104. I mostri del Mar Rosso
Il marinaio pavido che naviga il Mar Rosso
appende in alto, a poppa e a prora, delle campanelle
che echeggiano: i cetacei immensi, le balene, i mostri
marini con quel suono tiene lungi dalle navi.
Note
(1) R. Nepoti, La poetica degli eroi, Edizioni Luigi Parma, Bologna, 1978, p. 247.
(2) È il tema fondativo della poesia didascalica; sarebbe interessante studiare, in tal senso, le affinità tra le belve di Stradano e gli animali più tetri e bizzosi delle Georgiche virgiliane.
(3) A proposito d’invenzioni moderne nelle incisioni si vedano i Nova reperta, commissionati allo stesso Stradano.
(4) Sulla zooiconografia di stampo «pliniano» nel Rinascimento, cfr. F. Mezzalira, Le immagini degli animali tra scienza, arte e simbolismo, Angelo Colla Editore, Costabissara, 2013, pp. 71-73.
(5) L’immagine ricorre nell’epica classica e nei bestiari medievali, ma una delle sue più celebri apparizioni letterarie è in Poliziano, Stanze per la giostra, I, 39, cui mi sono liberamente ispirato nella resa del testo di Kiliaan: «Qual tigre, a cui dalla pietrosa tana / ha tolto il cacciator li suoi car figli, / rabbiosa il segue per la selva ircana / che tosto crede insanguinar gli artigli; / poi resta d’uno specchio all’ombra vana, / all’ombra ch’e suoi nati par somigli; / e mentre di tal vista s’innamora / la sciocca, e ‘l predator la via divora».