0) non tutta la musica classica è bella, non tutto il bello è musica classica
Nell’immaginario comune la musica colta, spesso ridotta alla sola musica classica – cioè quella musica che va dal barocco al primo novecento – fa pensare se va bene alle più alte sfere del mondo sonoro, a melodie sublimi che toccano le più profonde corde dell’animo, capace di trascendere le epoche, la cultura, l’umanità stessa. Se va male a una palla bestiale.
Focalizziamoci sul primo caso: la musica colta è solo la musica ascoltata in altre epoche dalla sfera occidentale dell’alta cultura, dalla classe dominante, per di più spesso intrecciatasi a doppio filo con la cultura popolare coeva. Solo nell’ultimo secolo se ne è infatti separata, sparendo di conseguenza dall’orizzonte culturale di massa.
L’idea che la musica colta rappresenti il “bello” in musica è totalmente infondata, perché non è compito della storia definire il bello, categoria relativa e situazionale. Molta musica “bella” del passato oggi è infatti percepita come brutta e viceversa. Quindi, come definire la musica colta “brutta”? Possiamo differenziare le tante sfaccettature del brutto musicale: musica brutta perché ormai passata di moda, brutta perché volutamente brutta, brutta perché non si pone il problema di apparire bella.
1) musica brutta perché passata di moda: La Vittoria di Wellington di Ludwig van Beethoven
Molta musica sparisce semplicemente perché figlia del proprio tempo, insipida al nostro orecchio o priva di quella carica di innovazione che tutte le opere passate alla storia, in qualche modo, hanno. un brano estremamente popolare nella propria epoca è stato La Vittoria di Wellington del celeberrimo Ludwig van Beethoven. Commissionata nel 1813 da Johann Nepomuk Mälzel (già inventore del metronomo e di un fraudolento automa per giocare a scacchi) per essere eseguita sul suo Panarmonicon, un’automa musicale che poteva riprodurre vari strumenti bandistici, tra cui flauti, corni, fagotti, clarinetti, tamburi. il brano aveva lo scopo di celebrare il trionfo militare di Wellington su Napoleone Bonaparte. La partitura scritta da Beethoven tuttavia non era eseguibile sul Panarmonicon e Mälzel non era in grado di costruirne un altro adatto, così si aprì tra i due una disputa legale sui diritti del pezzo, che venne eseguito in una versione riscritta dallo stesso compositore per un’orchestra all’epoca spropositata, che prevede anche l’uso di effetti sonori ottenuti con moschetti e varie percussioni che simulano l’artiglieria.
Siamo lontanissimi da altri brani che commemorano battaglie come la celebre “Ouverture 1812” di Tchaikovsky (che preserva una sua dignità): il brano di Beethoven è estremamente caciarone, sfrutta una facile effettistica per colpire il pubblico, nonché la citazione di melodie popolari conosciutissime (Rule Britannia e Marlbrough s’en va-t-en guerre) e percussioni per rappresentare gli schieramenti (sul palco, ai lati, due gruppi di percussionisti rappresentano gli Inglesi e i Francesi). Un lavoro tanto becero nell’uso di effetti e didascalico nell’esposizione non poteva che essere accolto con grandissimo successo di pubblico, portando Beethoven all’apice della sua popolarità. Alle critiche mosse a tale lavoro e alle sue varie versioni (di cui anche una più breve per il suddetto Panarmonicon), il compositore rispose «Ciò che cago è meglio di qualsiasi cosa voi potreste mai pensare!».
Oggi il pezzo non viene praticamente mai eseguito.
2) musica brutta perché volutamente brutta: Uno scherzo musicale di Wolfgang Amadeus Mozart.
A differenza del precedente brano, questo sestetto (composto da due corni e un quartetto d’archi) scritto nel 1787 è volutamente brutto, una satira musicale che ha come obiettivo i compositori contemporanei di Mozart che riscuotevano grande successo nonostante la loro musica fosse maldestra, semplicemente perché il pubblico di corte non aveva alcuna competenza musicale. Si tratta di un brano goffo, grottesco, pieno di parti che non portano a nulla, frasi musicali storte, inutili ripetizioni, dissonanze irritanti, maldestri tentativi di intreccio delle voci che ben presto vengono abbandonati, con un finale in cui Mozart ha chiaramente cercato di ottenere la peggiore sovrapposizione di suoni possibile, una cadenza ricercatamente inascoltabile. L’umorismo di Mozart è evidentissimo in questo brano, e l’abile mano dell’autore è talmente educata da riuscire a riprodurre raffinatamente tutte le sgrammaticature possibili.
3) musica brutta perché non gli interessa di apparire bella: Dall’oggi al domani di Arnold Schoenberg.
Unico caso di opera comica scritta da Schoenberg, Dall’oggi al domani (Von heute auf morgen in tedesco) è il primo esempio di opera che usa la dodecafonia, un linguaggio musicale inventato da Schoenberg che prevede l’uso di tutti i dodici suoni della scala cromatica prima che possano essere usati nuovamente. È un linguaggio molto diverso da quello a cui siamo abituati e che si focalizza su intervalli e suoni che usualmente riteniamo sgradevoli, alla ricerca proprio di un inclusione degli elementi musicali che prima di allora non erano abitualmente utilizzati dai compositori. Lo stesso Schoenberg dirà di quest’opera, durante la sua stesura «La musica è brutta, come sempre nelle mie composizioni; corrisponde alla mia indole artistica e spirituale». L’opera è una satira sui costumi sociali, una commedia che prende in giro le mode e la borghesia, ma a causa del peculiare linguaggio del compositore assume colori furiosi e bizzarri, che si mescolano in modo inusuale alle tematiche dell’opera stessa. La dodecafonia, del resto, è linguaggio complesso, che neanche a quasi un secolo di distanza è stato digerito dal pubblico: non si pone il problema del bello o del brutto ma nonostante ciò avrà grandissima fortuna lungo tutto il novecento presso i compositori di musica colta. Dall’oggi al domani , scritta nel 1929, nonostante varie rappresentazioni e alcune riproposte negli ultimi decenni è uno dei lavori meno conosciuti di Schoenberg.
Questi sono solo tre esempi di un mondo molto più vasto di quello che si può pensare, un mondo pieno di sfumature e cambi di percezione lungo i secoli: opere insignificanti e scritte in fretta e furia, musica d’occasione basata sul riciclo di pezzi precedenti o altri, brani d’effetto che sapevano come arruffianarsi il pubblico senza dargli nulla di sostanzioso, suite composte da autori che volevano essere kitsch o prendere in giro certi aspetti della cultura musicale, sinfonie che poco s’interessano dell’opinione del pubblico. Il brutto, come il bello, ha molti aspetti e non vale in astratto meno di quest’ultimo. È davvero importante che ciò che ascoltiamo sia bello, se si tratta di qualcosa di unico?