Solitudine e psico-politica nel lavoro di Rebecca Moccia
Con colpevole ritardo, in questi giorni sto recuperando la visione di Mad Men. La trama ruota attorno alla vita e alle manie di Don Draper, fascinoso quanto enigmatico direttore creativo dell’agenzia pubblicitaria Sterling & Cooper. Per quanto Don cerchi appagamento nel successo lavorativo, nei soldi, nei figli, in una prima e poi in una seconda moglie, la sua esistenza si rivela arida, come corrosa da un senso intrinseco di imperfezione sullo sfondo dell’America degli anni Sessanta. Il protagonista di Mad Men ha diversi punti in comune con un altro grande personaggio televisivo, Tony Soprano. Il boss mafioso del New Jersey incarna tuti i tic e le ossessioni dell’uomo occidentale medio di fine anni Novanta. Tony soffre di una profonda depressione, che affonda le sue radici nei traumi infantili, ma che esplode difronte a eventi a cui il singolo individuo non sa dare risposta.
Rimanendo in ambito di serialità televisiva, al duo Draper-Soprano potrebbe aggiungersi Bojack Horseman, ultimo rappresentante di una schiera di epigoni di un malessere contemporaneo che dal dopoguerra arriva fino agli anni più recenti. Questi tre personaggi, più che dalla paura di morire, sono accomunati dalla paura di morire soli. Accettato che la vita procede in una sola direzione e che il fine ultimo è uguale per tutti, Don, Tony e Bojack vivono sulla loro pelle l’esperienza della solitudine, dell’individuo che si sente espulso ed escluso dalla realtà.
È sintomatico che questi tre personaggi, con le relative serie televisive, siano nati in seno allo stesso sistema produttivo occidentale verso il quale muovono la critica. Ma cosa vuol dire, oggi, essere soli? Cosa significa solitudine rispetto alle strutture sociali e politiche che ci circondano? Queste domande, tanto più cogenti nell’epoca post-pandemica, se le è certamente poste l’artista visuale Rebecca Moccia (Napoli, 1992), che con il suo progetto Ministry of Loneliness si è proposta di indagare il sentimento della solitudine contemporanea nelle sue implicazioni psico-politiche e sociali. Iniziato tra il 2020 e il 2021 e attualmente ancora in corso, il progetto vanta il supporto del Ministero della Cultura nell’ambito del programma Italian Council e non molto tempo fa è stato al centro di una significativa mostra presso Fondazione ICA a Milano.
«Questo lavoro di ricerca – spiega l’artista – nasce in pieno lockdown, quando per la prima volta ho sentito parlare di un dicastero legato alla solitudine». Il Ministry of Loneliness, infatti, è un ministero reale e attualmente in attività, voluto nel 2017 dal governo di Theresa May. Il ministero inglese è nato all’indomani dell’assassino, da parte di un estremista di destra, della parlamentare laburista Jo Cox, che in quel momento – era il 2016 – era a capo della Loneliness Commission.
Questi nomi, che potrebbero richiamare alla memoria le distopie di Orwell, sono significativi di una realtà in cui la solitudine viene esperita tanto a livello personale quanto comunitario. «Mi è sembrato significativo – commenta Moccia – che questo organo governativo sia nato in un contesto così tragico. Mi sembra alluda bene alla natura ambigua di questo ministero». Il Ministry of Loneliness britannico, infatti, avrebbe come obiettivo quello di contrastare e possibilmente prevenire la solitudine, avvertita come un problema in costante crescita. Seguendo l’artista nella sua pratica di decontestualizzazione, però, è possibile immaginarsi questo ministero come un apparato burocratico che favorisce questo sentimento. Ancora, il paragone con il Ministero della Verità di Orwell, che mirava a censurare e riscrivere la storia, è sinistramente attuale.
L’artista spiega che la ricerca nasce come necessità di espressione personale, di analisi di un sentimento crescente di emarginazione e isolamento. Nel momento in cui Moccia ha iniziato a ipotizzare un lavoro di ricerca, il tema della solitudine mostrava appieno – e ancora oggi – tutte le idiosincrasie della società contemporanea. Se da una parte questo sentimento risulta essere oggi tanto pervasivo quanto più lo si prova a nascondere, dall’altra, durante il Covid, il problema della solitudine ha ricevuto un’improvvisa attenzione a livello globale. Nondimeno, l’isolazionismo pandemico è stato qualcosa di non sistematico, limitato a livello temporale. A Moccia invece, quello che interessa è la condizione generalizzata e la pervasività con la quale si insinua nella sfera privata e pubblica. Non è un caso che, con un tweet, anche “The Economist” abbia dichiarato che “loneliness is the leprosy of the 21st century” (la solitudine è la lebbra del XXI secolo).
La dimensione endemica di questo sentimento sembra ormai avvertita da molti, tanto che Fay Bound Alberti, in A Biography of Loneliness. The History of an Emotion, afferma che «in the early twenty-first century we find ourselves in the midst of a ‘loneliness epidemic’, while worry about loneliness makes it more inevitable. Talking about loneliness seems to spread, contagion-like, until it has become part of the social fabric».[1] La pandemia, quindi, è stata solo la goccia che ha fatto traboccare il vaso e ha dato il via alla ricerca di Rebecca Moccia, ma le cause di questa “epidemia di solitudine” sono molto più profonde e radicate.
[1] “All’inizio del XXI secolo ci troviamo in mezzo a una ‘epidemia di solitudine’, e allo stesso tempo la preoccupazione per la solitudine la rende più inevitabile. Il dibattito sulla solitudine sembra diffondersi, come un contagio, fino a diventare parte del tessuto sociale”.
Nelle parole dell’artista, il Ministry of Loneliness è diventato il correlativo oggettivo di un sentimento allo stesso tempo privato e pubblico, costantemente represso e spesso sottostimato. Quello che all’artista interessa è la peculiare forma collettivizzata di solitudine, particolarmente acuta nei paesi occidentali e occidentalizzati. Forse, se volessimo dare un nome più preciso a questa specifica forma di solitudine di cui parla Moccia, sarebbe lecito utilizzare l’espressione “American loneliness”. Questo termine, coniato da David Foster Wallace per descrivere il solipsismo della Me Generationdi fine anni Novanta, potrebbe facilmente diventare in questo caso una “Westernized loneliness”.
È significativo che il Ministry of Loneliness britannico sia stato emulato anche da Canada e Giappone, paese quest’ultimo ormai occidentalizzato ma storicamente restio all’apertura transnazionale. Fa riflettere, però, che proprio da questo paese si sia diffusa anche in Occidente la pratica dell’hikikomori, che consiste nel ritiro dalla vita sociale e nel volontario confinamento all’interno delle mura domestiche per mesi o addirittura anni.
È interessante notare come alcuni studiosi facciano coincidere l’esplosione di questo fenomeno con la Lost Decade, un periodo di forte recessione economica che ha caratterizzato il Giappone negli anni Novanta, e, in particolare, con l’Employment IceAge. Con quest’ultimo termine si identifica un periodo che va dal 1994 al 2004 circa in cui giovani lavoratori giapponesi avevano forti difficoltà a trovare una forma stabile di occupazione. È chiara, quindi, la dimensione sociale e politica di un sentimento crescente e alcune volte, come nel caso degli dell’hikikomori, volontario di solitudine.
A conferma di ciò, l’artista racconta che fino al XVIII secolo – cioè fino alla nascita della moderna società capitalista – la parola loneliness compare raramente nei testi scritti. «Fino alla rivoluzione industriale la parola più usata era solitude, che designava una condizione fisica di solitudine in maniera neutra. Il termine loneliness, che invece ha un’accezione negativa, inizia a essere sempre più presente nel lessico dell’epoca con l’avvento degli stati liberali». Questo cambiamento viene ben descritto nel sopracitato A Biography of Loneliness di Alberti e sembra sufficiente per chiarire la correlazione tra solitudine e strutture politiche.
Ministry of Loneliness, che si compone di una prima fase di documentazione e una seconda di restituzione visuale sottoforma di installazioni, ha cercato quindi di affrontare il tema a livello internazionale. In questa prospettiva, il contributo dell’Italian Council è stato fondamentale, perché ha permesso all’artista di viaggiare e trascorrere mesi di residenza artistica nei vari paesi interessati. La forma stessa delle installazioni risente di questo processo documentario e creativo. Un primo momento di restituzione della ricerca è stato presentato nel giugno 2022 presso Jupiter Woods a Londra.
Una seconda e più completa installazione video è stata esposta a Fondazione ICA nell’estate 2023. Quest’ultima mostra prendeva la forma di quella che Moccia stessa chiama medial atmosphere (atmosfera mediale), ovvero uno spazio in cui media diversi – sia digitali che tradizionali – dialogano per creare un’atmosfera sensoria vera, reale. Per l’artista, lo scopo di questi spazi è quello di portare lo spettatore verso una presa di coscienza attraverso un’esperienza sensoriale.
È chiaro che il risultato finale risente della processualità in itinere che ha caratterizzato il lavoro. «In questo caso, l’utilizzo di diversi media è stato reso necessario dalla necessità di dovermi muovere da sola in vari paesi dovendo prendere appunti, fare annotazioni, registrare. Tra gli strumenti che avevo a mia disposizione c’era una fotocamera, una camera termica e il computer, sul quale ho preso appunti e disegnato. Poi si è aggiunto il video, che è diventato quasi una sorta di racconto diaristico dei miei spostamenti. Ho usato invece la camera termica per Cold As You Are – serie fotografica inglobata all’interno del progetto – in cui espongo le varie temperature corporee. Questo è il mio modo per ridare fisicità alle persone che vengono ridotte a numeri a dati da parte degli organi governativi».
Perché in effetti, come Moccia stessa ha potuto constatare, il raggio d’azione dei vari ministeri della solitudine non va oltre un’azione prettamente neoliberale di catalogazione e monitoraggio. I Ministeri della Solitudine, in sostanza, registrano questo sentimento ma non prendono nessun tipo di iniziativa efficace per contrastarla. «L’esistenza di questo ministero, nel regno Unito come in altre parti del mondo, è un controsenso in essere» – spiega l’artista. «Durante la ricerca mi sono imbattuta in testimonianze che indicano la natura abbastanza controversa di quest’organo governativo. Per esempio, un report voluto dal ministero evidenziava il costo economico di una persona affetta da solitudine per il datore di lavoro».
Moccia ci spiega che dal punto di vista governativo i ministeri operano efficacemente per prevenire i danni da solitudine, quando in realtà le azioni concrete sono praticamente nulle. Questo accade sia nel Regno Unito che in Giappone, dove il MInistry of Loneliness si riduce fisicamente a un ufficio con un ministro. Eppure, proprio in questo paese le conseguenze della solitudine iniziano adesso ad essere evidenti, tanto che la studiosa Chikako Ozawa-de Silva gli ha dedicato in intero volume, dal titolo The Anatomy of Loneliness. Suicide, Social Connection, and the Search for Relational Meaning in Contemporary Japan. L’autrice rilancia la definizione di solitudine come epidemia globale e propone il termine ossimorico di lonely society, ovvero di una società che favorisce l’emarginazione e in cui la solitudine è la condizione generalizzata.
Questo concetto si collega molto bene con gli interessi che muovono la ricerca di Moccia. Per l’artista, i ministeri della solitudine non sono altro che organi incapaci di uscire dalle logiche burocratiche e compilative della società capitalista. Questi organi falliscono perché sono un prodotto dello stesso meccanismo che ha portato a questa situazione di solitudine epidemica. Quello che manca secondo l’artista è una riflessione sulle cause primarie di questo sentimento. Nondimeno, sembra improbabile che la risposta arrivi da governi neoliberali, che per il filosofo sudcoreano Byung Chul-Han hanno tutto l’interesse nel favorire lo status quo.
Nel suo libro Psicopolitica, Chul-Han evidenzia come l’attuale società neoliberale adoperi il comune sentimento di libertà occidentale per forme ancora più efficaci di soggettivazione e di sottomissione. In questo, il neoliberismo sfrutta tutto ciò che rientra nelle pratiche e nelle forme espressive della libertà, come l’emozione, il gioco e la comunicazione, portando “l’io come progetto” a sottostare «a obblighi interiori e a costrizioni autoimposte, forzandosi alla prestazione e all’ottimizzazione».
Gli stessi interrogativi se li era posti, più di vent’anni fa, anche Zygmunt Bauman, quando, in La solitudine del cittadino globale, scriveva che «essere un individuo non significa necessariamente essere libero. La forma di individualità proposta nella società tardomoderna o postmoderna, e in verità la forma più comune in questo genere di società, l’individualità privatizzata, denota, essenzialmente, la condizione di non-libertà». Ma se è vero quello che diceva Marx, ovvero che «solo nella comunità diventa possibile la libertà personale», risulta chiaro quanto la solitudine abbia delle profonde implicazioni a livello politico. E, di conseguenza, come apparati burocratici quali i ministeri della solitudine risultino del tutto inadeguati per offrire una risposta efficace.
La cosa forse più interessante degli ambienti mediali di Moccia – e in generale di tutto il progetto – è la capacità di far dialogare piani gerarchici e sociali differenti. Ministry of Loneliness riesce infatti a ricondurre l’individuo all’interno di un tessuto sociale pubblico, mettendo all’indice le cause di questo sentimento. Il tema della solitudine viene quindi affrontato per cerchi concentrici, partendo dall’interiorità del singolo per abbracciare i rapporti interpersonali, la sfera sociale.
A tal proposito, due esempi che potrebbero essere usati per un raffronto. Il primo, più famoso, è Bo Burnham: Inside, il musical di Netflix in cui il comico statunitense Bo Burnham riflette in presa diretta sugli effetti psicologici della solitudine da lockdown. Il secondo, più di nicchia, è Martin pleure, toccante corto animato di Jonathan Vinel in cui il protagonista si sveglia e scopre che tutti gli amici sono scomparsi. In questi due casi, però, a essere al centro della narrazione è un io soggettivo, privato. Nel caso di Moccia, invece, il discorso si allarga fino a inglobare un io-collettivo, tematizzando la solitudine in senso sociale e politico.
Inoltre, Ministry of Loneliness non rende conto solo del dato evenemenziale, ma anche di quello simbolico. Ad esempio, durante la ricerca Moccia ha prestato particolare attenzione all’architettura legata ai vari Ministeri della Solitudine. «Il Parlamento inglese» – dice l’artista – «è uno dei pochi al mondo a non avere una pianta circolare, ma rettangolare, a fazioni contrapposte. I due schieramenti principali sono seduti uno di fronte all’altro. Questo rende il modello architettonico inadatto a favorire il dialogo, quanto piuttosto lo scontro. Ancora oggi in terra vi è una linea rossa difronte a ognuno dei seggi parlamentari, che non può essere sorpassata durante le sedute. Questa linea, in antichità, segnava la lunghezza della lama di una spada, di modo che i vari parlamentari non potessero ferirsi con le armi». Per l’artista, il posizionamento simbolico e fisico influisce all’interno della decisione politica e la contrapposizione architettonica del parlamento inglese rispecchia le scelte di governo.
«Mi è sembrato significativo che il primo ministero della solitudine, che dovrebbe essere un ministero dell’inclusione, si sia instaurato in un parlamento del genere, in cui vi è una naturale distanza tra gli individui già dal punto di vista spaziale» – commenta Moccia. Nella mostra a ICA questa contraddizione architettonica era enfatizzata nella scelta dello spazio espositivo, non l’usuale white cube al piano terra, ma gli uffici al primo piano, eccezionalmente visibili al pubblico per l’occasione. Per l’artista, quello degli uffici era lo spazio migliore per far capire e far immergere lo spettatore in «un’atmosfera di burocratizzazione dei sentimenti».
È proprio seguendo il tracciato della politicizzazione dei sentimenti che Moccia vorrebbe continuare a lavorare nei prossimi mesi. «Mi piacerebbe ampliare lo spettro dei sentimenti in analisi, parlando di ansia e depressione per esempio» – commenta. «Durante questo progetto ho incontrato molte sacche di resistenza al sistema, come attivisti e psicologi che lavorano per contrastare le ingerenze esterne sui nostri sentimenti e la nostra interiorità. Tra questi vi è la Climate Psychology Alliance, che offre un aiuto per gestire i sentimenti legati al cambiamento climatico, come l’ecoansia». Una condizione molto complessa, ma sulla quale l’artista ha intenzione di lavorare perché «sono situazioni che mi toccano personalmente, in cui io per prima sono coinvolta».