Benvenutə! Sei incappatə nel secondo articolo della rubrica L’incubo – immagini svegliate di Carlo Bellinvia (qui il primo). In L’incubo Carlo si dedica a comparare immagini e costruirci una visione sopra. In questo secondo articolo le immagini svegliate (in copertina e corpo testo) mixano loghi famosi, pubblicità e opere d’arte visiva (Rothko, Monet, Warhol).
Tu chiedi un colore alla civiltà e oggi ti servono, strisciando il bancone di un peggior locale, una
Coca-Cola sulla quale un’eroica scritta bianca si accorda del tutto col suo coro rosso, esaurendo però
subito ogni sua spinta tragica, e provocando soltanto questa mia solidissima sete e un breve prurito
agli spicci.
Seguono, allora, le stimmate da buste della spesa a scavare sulla mano un bel marchio Coop, nell’unità del sangue che già sgocciola, sodo, secondo gli anelli, via dalla regione del palmo, iniziando il mio polso in una pianta di giri fatti:
Ed io ho la mano pellerossa giusto in mezzo a righe e righe rigate dai commessi Coop attraverso i reparti, poi dai cassieri e, infine, con la soluzione all’aperto. Altro dramma rispetto a quello della Coca-Cola è, ad esempio, White Stripe numero otto, di Mark Rothko, pensato in due, tre gioie incastonate, e comunque contro una tela anulare. Sassate d’ornamento portate nel brillio, sembra, un brillio da neon. L’artificiale davvero qui vibra come il naturale, oppure è solo il respiro disturbato dai mille tabacchi del pittore lettone.
Rimane, di un simile fumatore, forse ancora un terzo polmone soffiato, seppur difficoltoso. Si tratta
della cappella, finita nel 1971 dall’artista: una voliera a barre larghissime dov’è permessa la libera
avicoltura di questi nostri altrimenti raccolti, cravattati frulli. Invece, la latta Pepsi ti ghigliottina in un occhiolino al blu, e il poco rosso è rumoroso quanto il sole nel primo Monet, tra le alberature del porto di Le Havre, come sanno tutti.
È, bere Pepsi per far centro tra i denti, certo un cestismo ribelle. Vedo, in mezzo alle onde, la barca
nera che poi è un bevitore del mare, nel suo pozzo. Il porto è lì che drena in quel bevitore, a sua volta
sorpreso nel vuotarlo bicchiere dopo bicchiere, e ciò è possibile, data la grossezza delle onde.
Ma le figure di Monet, ancor più che dialogo con la luce, esplorano la trasferibilità di certa massa
adesiva e della sua bandiera. Il suo occhiale intanto gasa veloce e sfoglia la viola e la rosa. E perfino
un geranio, di tanto in tanto.
Bere Pepsi, difatti, è comportamento altro tanto quanto la Coca-Cola, all’opposto, è educazione: nelle
etichette, ecco le aperte cerchiature dell’una contro i fiocchi e i cappi dell’altra. La C maiuscola,
dunque, striscia per due, la o è uno zero spaccato. Il tratto sta in alto, nella C di cola, che unisce pure
la lettera l.
Come si nota, queste linee negano quasi del tutto la lettura degli ingredienti, queste curve bianche che si infilano, che si insinuano come le serpi dentro i marmi di Laocoonte e dei suoi pargoli.
Sembra un tiro alla fune con i due mostri marini (Porcete e Caribea) mandati da Atena per non far
dire al grande sacerdote troiano ciò che sa, ciò che ha capito e che, a più copie di bottiglia, affida il
suo avviso, il suo messaggio, la sua notizia. Sul trucco del cavallo di Troia oppure sul segreto della Coca-Cola.
Ma cosa si nasconda nella Coca-Cola di tanto segreto alla fine non è dato saperlo, anche se Andy
Warhol tenta in ogni modo di rubarne il mistero alla fabbrica. Paiono, del resto, le sue serie più nere,
riservare il lutto delle urne cinerarie a quel logo cruento, in un grandioso evento funebre. Diano, per senso di pietà, ai tre uomini che si collegarono nel voler salvare Ilio, almeno altrettanti,
giusti monumenti al milite ignoto e, con Warhol, un sacrosanto quarto d’ora di successo pop.
Leggi anche gli altri articoli di figure!
In copertina: Wolfgang Tillmans, use, 2000