Questo articolo fa parte di una breve serie dedicata al Glitch. Ma cos’è un glitch e quale rapporto intrattiene con un sistema di realtà? Sono alcune delle domande a cui questo primo contributo proverà a dare una risposta.
Di Alessandro Longo e Marco Mattei
Introduzione
“When you invent the ship, you also invent the shipwreck; when you invent the plane you also invent the plane crash; and when you invent electricity, you invent electrocution… Every technology carries its own negativity, which is invented at the same time as technical progress”
Politics of the Very Worst, New York: Semiotext(e), 1999, p. 89
Da qualche parte fra gli umidi ricci di materia grigia bagnata dal liquido cefalorachidiano, si genera una scossa elettrica. L’impulso procede violento. Attraversa assoni, guaina mielinica, nervo dopo nervo satura le sinapsi. La velocità è devastante. Alla fine, non c’è più niente da fare. Il muscolo ha uno spasmo, la mano si contrae. Il mio dito, galvanizzato dall’energia come le zampe del cadavere di un rospo sottoposto a correnti elettriche, non può che scattare. Clack. Il tasto sinistro del mouse scatta sotto la forza del dito. Da lì, un’ulteriore scarica elettrica si propagherà per migliaia di chilometri, grazia ad una architettura che ricopre l’intero globo. A velocità luminali verrà elaborato dal computer, per poi essere spedito sulla stratosfera, rimbalzando contro una barriera invisibile ed essere riportato sulla terra, intrappolato in un cavo oceanico dove attraverserà il mondo, raggiungerà un server probabilmente al Polo Nord che con una potenza di calcolo inumana elaborerà un secondo impulso in risposta. Così, l’intero percorso verrà ripetuto a ritroso. Prim’ancora che riesca a battere gli occhi, sullo schermo lampeggia una schermata in risposta. L’immagine mostrata, però, è disturbata. Ancora leggibile, però in un angolo alcuni colori sono invertiti, alcune forme geometriche sono sovrapposte alla foto. Un glitch. Qualcosa, da qualche parte di questa architettura ipercomplessa, è andato storto.
Si pensa che la parola glitch derivi dal termine tedesco glitschen (slittare) e dalla parola yiddish gletshn (scivolare, pattinare) ed indichi, appunto, un’improvvisa ed inspiegabile deviazione da un percorso originario. Nelle tecnologie digitali, invece, il termine glitch indica un errore che non annulla un processo ma che lo porta a termine in maniera inaspettata, scardinando qualsiasi intenzionalità iniziale. E noi siamo terrorizzati dagli errori: un blackout, ad esempio. Oppure rimanere bloccati nel traffico, perdendo quel meeting importante, un ascensore che smette di funzionare… sono tutti microesempi di contrattempi, di glitch del sistema. Ma in una società complessa e dominata dalla tecnologia come quella in cui viviamo, un errore può anche significare l’inizio di una crisi finanziaria globale, con conseguenze catastrofiche per più della metà della popolazione: un glitch in un algoritmo di high frequency trading ed ecco che milioni di dollari spariscono nel nulla. Un errore nella gestione dei flussi di persone o dell’organizzazione sanitaria, d’altro canto, può portare perfino a una pandemia, con migliaia e migliaia di morti in tutto il mondo.
In generale, nella tecnocultura il glitch è parte di un’incredibile ansia macchinica, uno stress psicologico costante e tentacolare che pervade il sistema e grava sul benessere di tutti con il monito del funzionamento corretto. Quest’ansia macchinica per l’organizzazione perfetta non va semplicemente intesa come una paranoia sociale alimentata dal sistema sociale in cui viviamo, il capitalismo, ma va considerata come una componente metafisica del cosmo. La metafisica, scrive Federico Campagna in Technic & Magic, è l’assiomatica della realtà: «il luogo in cui si discute di cosa significhi esistere, di quali cose esistono legittimamente, di come esistono, in che relazione sono l’una con l’altra e con i loro attributi e così via». Questo livello astratto stabilisce le condizioni di possibilità del reale. Campagna si interroga su quali assunzioni metafisiche siano necessarie per giustificare le istituzioni del nostro tempo, quali credenze ontologiche supportino le sue forme economiche, quali forze del pensiero siano mobilitate nel nostro worldbuilding. Certi assiomi metafisici, interiorizzati come il destino dell’epoca, operano come un processo di creazione di uno specifico universo, che Campagna chiama cosmogonia: Il prodotto di tale cosmogenesi non è tanto la realtà in sé, quanto piuttosto uno specifico ordinamento, un atto di ordine sopra il caos. Ed infatti l’imperativo del funzionamento è ciò che teleologicamente ordina il reale: il capitalismo della sorveglianza, la distopia burocratica, questo perverso human security system serve a una sola cosa: far funzionare la macchina. Addirittura la stessa metafora che abbiamo appena usato – quella della macchina – fa parte di questa weltanschauung, della visione della realtà che ci ingloba. La meccanizzazione della società, sia al livello tecnico che concettuale, la tendenza a vedere il reale come un meccanismo, altro non è che un gaslighting sistemico in cui si vuol dare l’impressione che tutto funzioni liscio, che tutto sia perfettamente organizzato, che non ci siano errori o deviazioni.
Attraverso l’evoluzione progressiva della tecnica, nuove forme di pensiero e di organizzazione della società si sono formate, come già aveva notato Gilles Deleuze nel visionario testo Postscritto sulle società del controllo:
“È facile far corrispondere a ciascuna società dei tipi di macchine, non perché le macchine siano determinanti, ma perché esprimono le forme sociali in grado di dar loro vita e di servirsene. Le vecchie società di sovranità maneggiavano delle macchine semplici, leve, pulegge, orologi; mentre le più recenti società disciplinari avevano per equipaggiamento delle macchine energetiche, con il rischio passivo dell’entropia e il pericolo attivo del sabotaggio; le società del controllo operano per macchine di terzo tipo, macchine informatiche e computer, il cui pericolo passivo è l’annebbiamento e quello attivo il pirataggio e l’introduzione di virus.”
Deleuze aveva già capito che nelle società informatizzate (e nelle realtà che esse formano) il pericolo è la crescita del rumore, l’inevitabile aumento dei malfunzionamenti e la distorsione che si diffonde nel sistema. In una parola: il glitch. Il glitch è un annebbiamento di una certa parte di mondo, che si sottrae alle regole stabilite del suo funzionamento e inizia ad agitarsi in altro modo. Poche righe sopra, citando Federico Campagna, abbiamo utilizzato il termine worldbuilding: con questa parola, si intende di solito il progetto di immaginazione e strutturazione di un mondo finzionale, come l’ambientazione di un romanzo o un videogioco. I videogiochi ci forniscono probabilmente l’esperienza più immersiva e interattiva possibile per capire l’idea di come un mondo venga formato: si decide, per esempio, se in quel mondo esiste la magia, quali creature lo abitano, quali leggi della fisica sono valide etc. Questo processo di design del mondo, così rigidamente deterministico, viene alle volte sconvolto proprio dai glitch, che trovano nel mondo videoludico una delle loro incarnazioni più significative.
Un glitch nel mondo videoludico va distinto da un bug, dal puro malfunzionamento che impedisce un’azione o l’avanzamento nel gioco (un personaggio scomparso per esempio). Il glitch invece ha un potenziale espressivo: esso non impedisce soltanto, non ha un valore puramente negativo ma crea una strada alternativa, traccia una retta che unisce punti che dovevano rimanere estranei. Come sottolinea questo articolo su Ludica:
“Ogni tanto i glitch possono dare degli aiuti al giocatore, permettergli di saltare dei livelli, oltrepassare un muro per caso per saltare tutta una sezione di gioco (e infatti sono noti agli eletti delle speedrun), essere solo buffi, o più o meno intricati problemi di tipo grafico. Un altra possibile declinazione del termine glitch è il gioco che prende una piega diversa, come meccaniche e funzionamento, rispetto a quella intesa dai suoi sviluppatori”
La ricerca dei glitch così intesa porta a strade alternative, ambientazioni inquietanti e incomplete o potenziamenti nel gioco stesso: in un certo senso, sfruttare i glitch vuol dire giocare al gioco creando le proprie regole, ribaltando il processo contingente del worldbuilding e proiettando nuove storie nel mondo finzionale. L’articolo prima citato sottolinea come i glitch siano diventati oggetto di vere e proprie leggende metropolitane negli anni ‘90, quando la scarsa diffusione di Internet impediva ai videogiocatori di verificare immediatamente la correttezza delle loro informazioni. Così, i glitch venivano sussurrati e raccontati tra amici, assumendo tratti esagerati e persino inquietanti: alcune delle storie più famose sono raccolte in un sito apposito, Glitchpedia. I primi giochi di Pokémon erano tra i più chiacchierati in questo senso e il loro glitch più famoso, risalente addirittura al 1999, è l’esistenza di un Pokémon mai voluto: il Missign0. Forse un placeholder per dei progetti futuri, il Missign0 è una strana creatura pixelata che spesso raggiunge livelli impossibili secondo le regole del gioco e che si presenta in diverse forme: questo glitch divenne oggetto dei desideri dei videogiocatori che cercavano (e cercano tuttora) di attivarlo attraverso un rituale di azioni ‘deviate’ volte a innescare l’errore.
Missign0 incarna le caratteristiche metafisiche del glitch: esso rappresenta una deviazione dalle regole stabilite del mondo, l’instanziamento di qualcosa di nuovo e disturbante proprio perché diverso. Il glitch si diffonde viralmente attraverso le parole e i desideri dei giocatori e diventa qualcosa da ricercare, un gioco auto-organizzato nel gioco stesso. L’apparenza stessa del Missign0 incarna la sua essenza. I pixel disordinati che lo formano ci ricordano cos’è nel profondo quel mondo che stiamo esplorando: una lunga serie di linee di codice scritte da programmatori umani, fallibili e distratti. Il glitch è lo specchio della contingenza: nel suo sospendere il mondo, il glitch ci ricorda che siamo in balia degli eventi, di leggi che potrebbero in ogni momento mutare lasciandoci davanti alla fragile struttura dell’esistente. Le nostre macchine così come le nostre società sono costellate di glitch, di ‘sospensioni del mondo’ che possono portare a qualcosa di nuovo, all’emergere di una diversità. Il glitch, vero virus della contingenza, va allora cercato e innescato così da poter raggiungere una volontaria sospensione del mondo. Il glitch è un ordigno nascosto all’interno della macchina tecnologica contemporanea e un hacking concettuale del sistema di realtà che essa crea. Come scrivevamo nel primo episodio di REINCANTAMENTO, scrive:
“La metafisica Tecnica viene quindi associata ad una visione del mondo come un insieme di risorse da sfruttare, di obiettivi da raggiungere, di misure da operare per trarre conclusioni operative. Prima di essere, il mondo deve funzionare, deve essere adatto ai nostri obiettivi. La Tecnica ci svela il mondo come un insieme di cose riducibili al loro valore strumentale: valore che verrà deciso dal suo ruolo all’interno di uno specifico apparato produttivo, che a sua volta è ridotto alle sue capacità di espansione, alla sua possibilità di crescere all’infinito. [E]ssa si fonda dunque su una assiologia strumentale: le cose esistono perché le cose ‘servono’. Possono essere dunque sfruttate, utilizzate, ma per che cosa? [P]er fondare una tale ontologia è necessario uno specifico concetto di causalità: le cose servono, funzionano perché producono qualcos’altro. A può produrre B, dunque A ha dignità di esistenza. La causalità è ridotta ad una funzione produttiva più che creativa, al riprodursi dell’esistente più che all’apparire di qualcosa di nuovo.”
Glitchare un sistema vuol dire intraprendere un percorso di detournement dai binari prestabiliti, una deviazione dal sistema-mondo che può essere attraversata da altri desideri e volontà. Un glitch è un tentativo, prima involontario e poi ricercato, di abolizione di un mondo: un disfacimento delle sue trame e un ri-annodamento imprevisto che può far nascere nuove realtà.
Nella prossima parte affronteremo proprio un tentativo in questo senso riguardante l’abolizione del binarismo di genere che Legacy Russell propone nel suo Glitch Feminism: A Manifesto.