Euforia
Era davanti a me come avevo sognato, come avrei sognato il due novembre di ogni anno per i quarantasette anni in cui sognai quel ricordo. I vestiti si staccano da lui come spine di pesce, era bello in un modo religioso, di latte, era così bello che avrei dovuto ucciderlo.
Negli allevamenti, i bovini maschi vengono fatti ingrassare al punto che le zampe non sono più in grado di reggerne il peso. Mi spoglia, mi fa sdraiare sull’erba. I capelli si mischiano al fango e alle formiche, raccoglie le foglie sciolte e il fango e i fiori schiacciati dall’acqua, dipinse cerchi dentro cerchi con la punta delle dita, poi il palmo della mano, non poteva smettere o la pittura si sarebbe indurita, inizierà a creparsi. E io non volevo essere brutta. Sulla pancia, sul seno, lungo la curva del collo, nacquero morti strani tatuaggi. A due anni, le mucche vengono ingravidate: per produrre latte devono, come tutti i mammiferi, partorire un cucciolo. Un lombrico si contorceva al limite del mio campo visivo. L’odore freddo della terra. Quando la sbarra si alza, scivolano e cadono e annusano il sangue degli animali macellati al di là della trappola. Respiro dalle profondità di una grotta, e lui preme, cinque lividi spaccano il bianco. La mucca viene costretta a produrre dieci volte la quantità di latte che produrrebbe in natura. Per nutrire suo figlio. Nessuno credeva che il male avesse la carne di un angelo, e che fosse velenosa, narcotizzante. Per lo stordimento viene usata una pistola a proiettile captivo ma dopo lo sparo alcuni animali restano coscienti. Questo seno non mi corrisponde, due sacche di grasso concepite per l’impronta di un morso, morbide come il burro. E il macellatore taglia loro la faccia mentre continuano a respirare. Mi guardò come se fossi un esperimento o una torta in cui affondare i denti fino al cranio. Gli animali vengono fatti a pezzi con le seghe elettriche. Respira, è importante che lui ti ami. Nella sala di taglio non si trova più alcun segno di quello che sono stati, mi viene addosso, le zampe tranciate un minuto dopo lo sgozzamento, se mi baciassi come un essere umano, solo carne su altra carne, ma tu non hai odore.
Imago lucis opera expressa – un’ipotesi di lettura
di Dimitri Milleri
Questa poesia di Silvia Righi è un cinema, ma non è naturale. O meglio: è un cinema che non crede di potersi più fingere naturale. Nel saggio La camera chiara, Barthes parla di una fotografia di sua madre senza mostrarla: è la Foto del Giardino d’Inverno, per l’autore rappresenta un vertice della fotografia come arte: la capacità di produrre un documento dotato di aura, regalandoci la commozione derivata dal fatto che, davanti all’obiettivo, un certo pezzo di realtà “è stato”. La camera chiara usciva nel 1980 in un mondo che per lo più si pensava analogico, essendo la materialità fotografica e filmica già alterabile (Barthes non credeva negli effetti speciali) ma ancora lontana dai deepfake e dall’era d’oro della post-produzione digitale, in cui dal nulla è possibile creare un’immagine che ci fa credere nell’esistenza di una casa coi muri scrostati e una palma storta, in Catalogna: è lì che vogliamo andare, che vogliamo invecchiare – ma sono solo dati, frequenze, sono colori arrangiati per una retina.
Un cinema condensato, un cinema cognitivo. Cosa fa questa poesia che è assertiva (la semantica e la sintattica sono intatte, c’è la prosa, la lingua è anti-orale) ma estranea al genere della poesia in prosa, al fulcro biografico-soggettiva e all’idea dell’immagine come pastiglia che reca il principio attivo del significato, come simbolo? Qui le immagini verbali sono devices, non rimandano: leggendole le implementiamo a livello cognitivo e le simuliamo a livello sensomotorio. Su lay0ut ci siamo accorti che quello del virus informatico è un paradigma importante per la produzione culturale contemporanea (vedasi qui e qui), e penso operi anche all’interno della poesia di Silvia. Nel suo esordio Demi-monde (NEM 2020) spesso le tecniche di montaggio e la natura delle immagini, anche se legate al mondo del perturbante, dell’esoterico e del pornografico in senso ampio, rispondevano a un equilibrio architettonico, decorativo quasi. Perdonate la sbrigatività categoriale, è possibile in parte verificarlo da questi estratti. Voglio dire che la perizia nella generazione di un’estetica, in questo inedito, è invece sopraffatta dalla volontà di contagiarci – tornando a Barthes, di pungerci con dei contenuti drammatico-visivi cuciti secondo un taglio ingegneristico, funzionale.
In parole povere, il testo si basa sull’accostamento serrato di due gruppi di inquadrature: scene erotico-oniriche e frammenti dalla vita dei bovini da allevamento. A un primo sguardo, gli umani sembrerebbero essere in grado di sfruttare la violenza per il piacere, mentre i bovini soltanto di subirla, assieme con l’”euforia disforica” dell’istinto di morte. Eppure, il montaggio stringe l’alternanza progressivamente, secondo il principio parossistico del motus in fine velocior, fino a far coincidere la macellazione con l’unzione spermatica, l’assenza di odore dell’archetipo maschile con la pulizia della sala di taglio a fine lavoro. L’archetipo è un Altro non-soggettivo, una forza o una macchina – lo stesso, dalla prospettiva dei bovini, si potrebbe dire dell’agency umana che li amministra.
Ciò che complica il quadro è una tendenza disgregativa non avversata: le figure di Righi sono mitiche perché si abbandonano al corso istintuale della materia senza opporsi, uccidono e si fanno uccidere. L’euforia che le caratterizza è bilanciata da una malinconia affetta da reticenza, tutta schiacciata in quel «se mi baciassi come un essere umano, solo carne su altra carne, ma tu non hai odore». L’ethos complessivo è ambiguo, agrodolce: la visione del mondo implicata sembrerebbe virare verso il no-way-out, impolitica e misterica perché generatrice di mondi possibili dominati dal destino. Allo stesso tempo, nonostante la consapevolezza di ciò che l’aspetta, la voce emerge dal testo (ed è assurdo) pervasa di gioia. Che la poesia offra in nuce le modalità di un vitalismo nella catastrofe? Sarebbe bello poter rispondere, ma si dovrà aspettare che altre pellicole fuggano via dal laboratorio di Silvia.
Silvia Righi (Correggio, 1995) vive a Milano. È account manager presso Podcastory. Sue poesie e interventi critici sono apparsi sui blog Formavera, Le parole e le cose, MediumPoesia, Disgrafie e Nuovi Argomenti. Con il racconto Cercate Raperonzolo? è tra i vincitori del bando italo-tedesco 2021 promosso dalla Fondazione Heimann. Nel 2020 ha pubblicato con la casa editrice NEM la sua opera prima, Demi-monde, con la prefazione di Tommaso Di Dio.
In copertina e in corpo al testo: Thomas Maileander, “Sunburns”, 2015