Di Alessandro Longo e Marco Mattei
Questo articolo è la seconda parte di un’esplorazione dell’idea di glitch iniziata qui. Nella prima parte abbiamo cercato di cogliere la portata del glitch a livello metafisico, nella sua concezione più ampia come “errore produttivo” che devia un percorso lineare di costruzione di un mondo. Con questa idea in mente, proseguiamo oggi in una esplorazione di alcuni significati etici ed estetici del concetto.
Un errore nel codice, un rallentamento nel flusso di istruzioni, seguito dalla rottura dello spazio liscio, l’emersione dei pixel, la comparsa di una combinazione RGB randomica. Qualcosa non va, il programma ha glitchato.
La deviazione e lo strabordamento dei margini sono idee che hanno sempre interessato il pensiero occidentale: si potrebbe pensare all’intera storia della filosofia come ad un confronto costante della ragione con il caos del mondo. La ragione delimita, racchiude, categorizza. Definisce confini e campi di competenza, organizza protocolli e metodologie: struttura il magma ribollente del mondo non filtrato. Kant ha passato una vita a criticare i limiti della ragione, specificando fin dove fosse utile e necessario spingere il pensiero. Legacy Russell, artista e curatrice presso lo Studio Museum di Harlem, porta il pensiero critico ad abbracciare l’esperienza dell’errore e a seguirla da esempio. La potenza del glitch consiste nel farci vivere un’idea di devianza attraverso la cornice di un’interfaccia digitale e di farcela percepire come tale. La devianza non viene esperita da tutti nel mondo fisico o, in alcuni casi, la si vive senza considerarla tale. Nel caso del glitch questa esperienza viene immediatamente riconosciuta come ciò che è: il glitch non si nasconde, appare.
D’altro canto, in un cosmo meccanico, governato dalla legge dell’utile, la questione dell’errore – del glitch – assume una dimensione etica. Legacy Russell, nonché autrice di Glitch Feminism, scrive infatti:
Più il mondo diventa digitale, più “rotto” diventa uno stato binario: le nuove tecnologie o funzionano e sono dunque usabili, o non funzionano, e sono inutili. Se uno smartphone cade e si rompe, diventa impossibile persino accenderlo, mentre le vecchie tecnologie “analogiche” presentano stadi intermedi, anzi, sono ottime a quasi-funzionare: un lettore di vinili può sì riprodurre il disco ma farlo male, rallentato, stonato; una tv a tubo catodico può sì trasmettere immagini, ma invertendo i colori. Questo è il Glitch. L’errore imprevedibile. Non il bug, che impedisce il funzionamento del programma, ma il fortunato contrattempo che fa quasi-funzionare l’attrezzo.
In questa prospettiva il Glitch è completamente lesivo del digitale, resiste alla dicotomia, rinnega il discreto, è avverso al binario e si situa in un limbo intermedio che non dovrebbe esistere. La rivalsa dell’analogico sul digitale, anzi la rinascita dell’analogico dal digitale.
Se un algoritmo funzionante è prevedibile – si comporta cioè esattamente come è stato programmato per fare – un apparecchio glitchato è imprevedibile – non è semplicemente non funzionante, ma fa ciò che vuole. Non si può controllare una tecnologia quasi-rotta. Qui non-funzionante non è il contrario di funzionante, ma è un modo diverso di funzionare, diverso dall’intenzionalità del progettista e completamente imprevedibile da chiunque.
La Glitchy Art, ad esempio, capovolge qualsiasi aspettativa in questo senso. L’arte glitch istituisce un’autorità creativa che è separata da quella dell’autore. Anche l’arte intenzionalmente glitch lascia un incredibile spazio libero alla macchina: l’artista può “romperla” in più modi, ma la macchina ha comunque la scelta di “esprimere” in qualsiasi modo voglia il suo non-funzionamento. Non è né l’uomo l’autore del risultato finale, né la macchina di per sé – è piuttosto l’insieme dei due, l’interazione uomo-macchina che si fa autrice dell’opera finale – in un paradigma esplicitamente cyborg.
Femminismo Glitch
Nell’ormai lontano 2012, Legacy Russell scrisse per The Society Pages Il dualismo digitale e il femminismo glitch, in un’epoca in cui la nostra concezione di internet e di come questo spazio potesse plasmare nuove identità era ancora molto ingenua. Il nucleo teorico di quello scritto si può ritrovare nell’opera di Russell uscita lo scorso settembre per Verso books: il glitch si configura come un ammutinamento macchinico, una non-perfomance che crea nuovi spazi per fuori dalle logiche del funzionamento. Il punto centrale del discorso di Russell è il corpo. Riproponendo la domanda spinoziana – cosa può un corpo? – Russell afferma che i corpi sono cosmici. Per Russell i corpi hanno potenzialità cosmiche, che però tramite il genere vengono riordinati e limitati per potere essere gestiti meglio. Il genere funziona come una sorta di meccanismo regolatore che tiene a bada le potenzialità del corpo. In questo senso, i corpi liminali – come i corpi trans, disabili, non conformi – sono il glitch: l’errore non previsto che mostra la parzialità del sistema. Se, come Judith Butler affermava, i soggetti si costituiscono non tramite l’essere riconosciuti ma tramite l’essere riconoscibili, i corpi glitch ci spingono ad abbandonare la riconoscibilità per non rimanere mai bloccati in una identità fittizia. Non sorprendono dunque tutte le strategie di profilazione online.
Questi sono gli assunti del libro, o potremmo dire rifacendoci a Campagna, l’assiomatica di una nuova metafisica, la metafisica glitch, che potremmo riassumere così: 1) il glitch è cosmico; 2) il glitch ghosta; 3) il glitch è l’errore; 4) Il glitch cripta; 5) il glitch mobilita. In effetti, con una spaventosa e sincronica coincidenza di vocabolario, Russell afferma che i corpi sono attrezzi da worldbuilding. Tramite il corpo infatti, diamo realtà alle idee, producendo strumenti, opere d’arte, tecnologie: usiamo il corpo per dare materialità all’astratto. Questa capacità di creazione ex nihilo è ciò che rende il corpo cosmico.
Cosa succede a questa meravigliosa peculiarità dei corpi quando si incontrano online?
Nell’introduzione al suo libro, Russell racconta delle prime esperienze su internet all’inizio del 2000 da giovane donna nera. Allora il web appariva come uno spazio libero, in cui ognuno poteva essere chiunque, esplorando identità senza alcuna costrizione biologica. È famoso il meme, del 1993, “On the internet no one knows you’re a dog”. Nel suo saggio The Context of the Digital, Gene McHugh parla dei nativi digitali che hanno avuto il loro awakening sessuale online: le comunità costruite online su siti quali tumblr ecc permettevano l’esistenza di identità liminali, non perfettamente normate nel mondo là fuori. Questo perché le meccaniche di internet – filter bubble, consigliati – funzionano da catalizzatore. Le identità performate online, dice Russell, sono una delle molteplici produzioni dei corpi cosmici con il potenziale di essere portate AFK: nel suo articolo sul femminismo glitch, Paola Moretti scrive
Ciò che il femminismo glitch cerca, dunque, è l’irriconoscibilità, l’essere liminale, far emergere il glitch mostrando la parzialità delle tassonomie – un po’ come Kant e l’ornitorinco – sfruttando le comunità online come punto d’appoggio per forzare quei meccanismi rotti della società.
Metafisica dell’errore
Legacy Russell, nel teorizzare il glitch, scopre un enorme vaso di Pandora. Tuttavia, restano ancora moltissime potenzialità inespresse di questo concetto. Il punto nevralgico della questione – a nostro avviso – sta nella differenza tra un glitch e un errore, che una volta chiarita, apre interminabili spazi di riflessione e critica non solo per quanto riguarda il corpo, ma la psiche, le relazioni, la tecnologia e tutto ciò che da essi è implicato.
Poniamoci questa domanda: che cos’è un errore? Cosa accomuna tutti quegli eventi che noi riconosciamo come errori? Quale somiglianza fra 2+2=5, due più due uguale “cincue”, e una riforma economica disastrosa?
Riprendendo ciò che abbiamo già scritto in Hackerare il Mondo, la risposta intuitiva è che un errore è un esempio di come le cose non dovevano andare, in un senso molto normativo di “dovere”. Un errore è il frutto della contravvenzione a una regola. Non ci possono essere errori senza che prima ci fossero delle regole a governare. Il che sposta la domanda un passo indietro: che cos’è una regola?
Questa domanda ha tormentato a morte le migliori menti della filosofia analitica degli ultimi cinquant’anni ed è sicuramente troppo complessa per essere affrontata in questo articolo. Tuttavia alcune chiarificazioni vanno fatte: le regole servono a gestire un fenomeno, hanno una natura funzionale; in altri termini, restringono lo spazio delle possibilità. C’è infatti un riferimento alla necessità nel nucleo dell’idea di regola: le cose devono andare così. E tuttavia già si nota una contraddizione: non esistono regole che non contemplino la possibilità di una sanzione. Qualsiasi tipo di regola, sia essa sociale, morale o giuridica, contiene in sé la possibilità del suo fallimento, e quindi ha un sistema sanzionatorio incorporato per incoraggiare l’obbedienza ad essa. Queste sanzioni possono essere automatiche: il non essere capiti nel caso delle regole linguistiche, il non riuscire nella scoperta – o nella costruzione – dell’oggetto matematico nel caso delle regole numeriche, la vergogna, il cringe, nel caso delle regole sociali e così via. Le regole, in breve, dividono in due lo spazio delle possibilità: ciò che deve accadere per il corretto funzionamento della società, ciò che non deve accadere.
Come le regole, le leggi naturali governano le strutture fondamentali dell’esistente. Al contrario di esse, però, le leggi naturali non permettono errori. Non c’è nessuna limitazione della possibilità: una legge naturale è necessitante nella misura in cui non permette nemmeno la possibilità del suo infrangimento. Provate a buttarvi dalla finestra e vediamo quanti di voi saranno in grado di infrangere la legge di gravità. Cosa diremmo però se qualcuno di voi – dopo aver staccato il piede dal davanzale – rimanesse sospeso a mezz’aria, godendosi il volo magico? Un glitch nel matrix.
Questa è la natura del glitch: non è l’errore che conferma la forza della regola, è quello scostamento dalla regola che ne mina in primo luogo l’esistenza. Glitch è l’esistenza di corpi liminali non perché infrangono la regola sociale che vede l’esistenza solo di corpi binari, ma perché ne mette in discussione la portata normativa: la regola pretende di applicarsi su tutta la realtà e invece esistono infinite eccezioni. Glitch è il teorema di Goedel che rimette in discussione le leggi della logica e della matematica.
Glitch è la rottura delle leggi psichiche operata dagli psichedelici. Nelle parole di Silvia dal Dosso e Noel Nicolaus, nel saggio “Oltre la Realtà”, contenuto ne “La scommessa psichedelica”:
Le contingenze che governano la nostra esperienza con il mondo, quando ripetute, si sedimentano in regole che hanno consistenza neuronale, sono letteralmente dei percorsi obbligati – necessari, per gli impulsi nel nostro cervello. E come nel caso delle leggi, fortuiti avvenimenti casuali finiscono per essere inglobati in regolarità che ci appaiono necessitanti, fino a eliminare qualsiasi possibilità di pensarle altrimenti. Il glitch psichedelico scuote la struttura che vuole vedere il mondo come costituito da forme eterne ed immutabili e ne mostra la sua assoluta contingenza.
Da notare come la dimensione etica del glitch, e di come la frase iniziale di Legacy Russell – sul fatto che un errore, in un mondo profondamente corrotto, è forse un dovere morale – riecheggi sempre di più, alla luce di quanto detto, l’altra famosa frase di Mark Fisher: una politica emancipatrice deve sempre distruggere l’apparenza di un “ordine naturale”, e rivelare ciò che si presenta necessario e inevitabile come una mera contingenza, così come deve far sembrare raggiungibile ciò che prima era ritenuto impossibile.
Immagine di copertina: Scorie n° 3 di Devis Bergantin.