Senso di colpa e desiderio
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Hinterland aretino, 2015. Sto preparando l’esame di maturità. Ripeto per la quinta volta il programma di storia e filosofia, lo faccio con tutte le materie. La notte dormo poco, vado alle feste oppure vedo delle ragazze, esco. La mattina presto mi sveglio per ripassare. Tutti i miei professori sanno che cosa faccio e non importa – ho i voti alti. Glielo dico apposta per essere più di tutti, seguire le regole per infrangerle alla grande. Diventare perfetto, piacere agli altri e non sbagliare mai – avere i privilegi di tutte le condizioni. Dei desideri non sono ancora cosciente. Mi costa molto, neanche di questo sono cosciente.
Aprile, tutti ascoltano tekno e provano qualcosa, si lasciano e preludono all’estate. E non sarà un’estate.
2
Estate: periodo storico – allucinazione. Per me, questa e tutte le estati sono il punto più alto. I beni materiali e immateriali appaiono slegati dai sistemi che li rendono possibili, escono dagli schermi o piovono dal cielo. Mi è impossibile non pensare che non duri per sempre o non volerlo. In ogni momento esistono desideri e condizioni materiali di ognuno, fra di loro indipendenti. Per definire la condizione materiale, sento il bisogno di rivedere il concetto di capitale, liberarlo da quello di classe e raffinarlo, renderlo capace di accogliere tutto ciò che a un individuo è disponibile, le sue “affordances” fattuali e cognitive. Posizione geografica, età, sesso, genere, capitale culturale, lavoro, famiglia, conoscenze, disabilità, liquidità e il resto: capitale globale, ossia persona oggettivata. Ora: il desiderio è indifferente alle condidizioni materiali, a quello che già si è (o si ha) – viene insieme alla percezione o con l’atto di immaginare, non si ferma e non pensa, è interno nel senso di mio ed esterno nel senso di determinato. E ancora: la condizione materiale espressa in termini puramente quantitativi restituisce lo spettro reale per cui nessuna persona è sovrapponibile ad altre nel suo potere. Si è sempre privilegiati rispetto a, e ammesso che il soggetto esista – che il libero arbitrio esista – mi sembra essere qui la radice del senso di colpa: sentire di avere una responsabilità. Dal non coincidere con gli altri vengono la possibilità di essere sopraffatti e sopraffare, il desiderio e la paura. Può diventare insopportabile, si può voler tornare una sola cosa come Werther, come il padre di Shinji in Evangelion.
3
La scuola finisce, gli esami finiscono. La percezione falsata dei rapporti con gli altri studenti finisce, finiscono i gruppi studio, i pomeriggi, dormire nei parchi pubblici e la politica studentesca idiota. Sono stanco, non riesco a dormire. L’esame di ingresso in conservatorio è fuori portata, mi chiudo in casa a studiare e non vedo più nessuno. Cerco di non distrarmi, non distrarmi, sudo freddo quando sono su facebook, entro nel posto a cui il dottore darà nome. La vacanza è perdere tempo, dormire è perdere tempo, lavarsi e mangiare sono perdere tempo. Conta soltanto scegliere, studiare, fare la performance della mia vita – se un operaio può lavora dieci ore al giorno devo studiare dodici ore al giorno.
Piacere a tutti, non sbagliare mai.
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Demetrio dice che il senso di colpa è ovunque, io dico che il senso di colpa viene dall’avere, dal desiderare e dal non riuscire a tenere fede al desiderio – nostro ma collettivo, anche. In Dissipatio H.G. Morselli si libera dalla libido perché i corpi non ci sono più. Tereza e Tomáš in L’insostenibile leggerezza dell’essere sfuggono alle contraddizioni della monogamia ritirandosi in campagna, dove non c’è nessun altro da desiderare. La rinuncia (la decrescita) ha un valore politico potenziale in quanto si oppone alla volontà e alla disparità di cui sopra. È ipocrita, non solo perché per rinunciare bisogna essere nelle condizioni di farlo (privilegio con segno meno) ma perché si porta dietro un superiorità e perché tende a nascondere il desiderare, che semplicemente non può smettere – ciononostante può essere la scelta più giusta, addirittura la migliore o la più vigliacca. Non l’unica, chiaramente, perché per un occidentale ritrarsi è praticamente inconcepibile. Possiamo piuttosto pensare a una ridefinizione del desiderio, a un suo volgersi verso il giusto, fregare l’egoismo dirottandolo tutto verso il bene degli altri. Fare politica in sostanza, mettendo in conto le conseguenze – quasi nessuno però la fa più, e credo che non vederlo sia cattiva coscienza. Poi ci sono tutti i riformismi, tutti gli sviluppi sostenibili, tutti i piccoli aggiustamenti che ovviamente non bastano, perché la ridistribuzione è violenta e qualcuno il prezzo (climatico, sociale, economico) lo deve pagare. Ma questo noi non lo vogliamo davvero: anche con tutto l’orrore delle nostre vite, tutti gli sfruttamenti e i precariati, i salari, le disuguaglianze – anche con tutta la mancanza di significato, la grande maggioranza di noi ha troppo da perdere – non solo ma a maggior ragione se maschi, etero, bianchi – e se prendessimo davvero sul serio il capitale globale nell’accezione data ci ritroveremmo in una posizione non molto comoda per rivendicare. Tuttavia, anche ammettendo che tutto questo non conti, io mi chiedo cosa sognano, a che modelli e desideri guardano le classi inferiori degli stati del terzo e quarto mondo, o cosa pensavano gli albanesi quando ricevevano Mediaset e pianificavano di stabilirsi in Italia, cosa pensano gli indiani, cosa pensano gli africani. Cosa verosimilmente e più che legittimamente vogliono, se costruire un modello eco-socio-antropologico differente o avere una fetta più grossa di quel capitale globale, in un posto in cui è molto più difficile morire, magari, anche solo come senzatetto. Sono contento di non avere una risposta.
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L’estate finisce, l’esame d’ingresso finisce. Io non entro, la mia stupidità mi viene addosso, mi sembra chiara per una volta tutta d’un pezzo. Sbagliare, non essere più degli altri – averlo fatto e averlo sempre nascosto, e neanche sapere da dove l’ho imparato.
Di sera fumo sul cesso per dormire – a volte svengo, a volte invece no.
In copertina: foto di Pranav Jassi via Pexels.