Sento che non ci troveremo mai di casa
nella nostra assenza di casa.George Steiner, Vere presenze.
Betty Draper in una puntata di Mad Men: solo chi è noioso si annoia. Il problema non è la noia ma la ripetitività, che non è santa o rituale, che non ci spinge al di fuori di noi, che non è magica. Routine fisiologica, sociale, linguistica: sull’orlo di una burocrazia del quotidiano, a questo punto, il mondo fuori esiste ma di chi è il mondo?
Da più di un anno l’emergenza sanitaria ci riduce a una catena: rimaniamo in casa ma lavoriamo, ma ci relazioniamo, diamo al nostro corpo ciò che è del nostro corpo, al di là del desiderio. Ci comunichiamo, quotidianamente, del Web. Se il mondo fuori esiste non possiamo puntualmente verificarlo. A volte quindi: dove è il mondo? Letteralmente ovunque, inquadrato, dagli schermi, dalle finestre, dalle porte, tanto che in questa prigionia di rame uscire è quasi chiamarsi fuori da un gioco, perdendo denaro, per esempio, rinunciando ai territori conquistati.
Però il mondo non è fuori, non è qualcosa di diverso da noi, noi siamo nel mondo. E questa grande rimozione applicata per salvaguardia nostra raddoppia il danno perché è nostra colpa se il mondo può assentarsi a poco a poco. Il virus è tanto reale quanto simulato, cioè ci dà le misure di come sarà la diminuzione del reale, prossimamente. Per tanti si tratta di politica (nella vulgata, cioè partitica) nonostante la comunità scientifica sia concorde sulla irreversibilità dei cambiamenti ambientali:
“[…] diversi scienziati […] identificavano nove processi biofisici del Sistema Terra e cercavano di stabilire quali fossero i limiti di questi processi, oltrepassati i quali si genererebbero cambiamenti ambientali insopportabili per diverse specie, tra cui la nostra: i cambiamenti climatici, l’acidificazione degli oceani, la diminuzione dell’ozono nella stratosfera, il consumo di acqua dolce, la perdita della biodiversità, l’interferenza umana nei cicli globali di azoto e fosforo, i cambiamenti nello sfruttamento del suolo, l’inquinamento chimico, l’inquinamento atmosferico provocato dagli aereosol. […] Tutto porta a credere, ancora secondo gli autori, che abbiamo già oltrepassato la zona di sicurezza per quanto riguarda tre di questi processi”.
(Danowski, Viveiros de Castro, Esiste un mondo a venire?)
Il problema mitologico e metafisico della fine del mondo è rianimato dalle evidenze scientifiche. Ma non è un’Apocalisse spettacolare, piuttosto in sordina e che riguarda il sociale, cioè il nostro particolarissimo modo di vivere, perché la Terra è anche senza l’uomo. (Trovo poetica la proposta di datare l’inizio dell’Antropocene al 1610 (Maslin-Lewis): quell’anno un significativo calo di anidride carbonica intensifica la “piccola era glaciale”. Ma perché la depressione? Per la conquista europea delle Americhe, con un genocidio di circa cinquanta milioni di indios. L’assenza loro ha fatto respirare la Terra – Da Possiamo salvare il pianeta?).
Insomma, il lockdown globale dà linfa al fraintendimento di un’umanità destinata a oltrepassare, attraverso Marte o nella virtualità, dopo la dissipatio, nessuno vuole vivere in un relitto come Trantor, o tra i relitti fonico-visivi. Thomás Maldonado sosteneva che costruiamo immagini destinate a essere vissute come più reali del reale stesso. Come se l’immagine della cosa fosse già esperienza della cosa. L’esperienza del male e del bene e del mezzo passerebbe per Twin Peaks, per il telegiornale, per i reel. Chi si chiede più davvero a quali energie biomeccaniche attinge un rider?
Ho pensato di rompere l’altalena e la routine fondando una rivista, come responsabilità. Da solo mai, che nulla può farsi da soli: da un nucleo di abitudinari interlocutori. Il nome lay0ut è la carta in tavola: lo schema, fisico, virtuale, giuridico, aspettuale che ci vieta il mondo noi lo mettiamo in testa. Chiamarci a questo modo significa darci alla composizione, che presuppone la scomposizione come il mito ha in sé la demistificazione. Una rivista spero nuova, che faccia dialogare ogni enunciato per schiarirsi con la candeggina: Discorsi, in cui verranno ospitati interventi sulla Letteratura o sul mondo come superficie materiale (quanto brilla Menti parallele, in questo senso?); Traduzioni, che è una personalissima avventura tra le lingue e le letterature, come principale attraversamento, più neutrini che tunnel; infine Figure, che si prende gioco un po’ di sé e allude tanto alle immagini quanto alla loro discorsivizzazione, alle loro naturale retorica, e parleremo della realtà come virtualità, dei suoi errori, nei social, infine dell’Arte, ovviamente.
A noi si manifesteranno le nostre ragioni, progressivamente, per ora l’atmosfera, l’aria comune che respiriamo ci fa sentire, seppur lontanamente, in una casa. Parleremo dell’abitare, sicuramente, le arti e il mondo, dell’arredamento. Il grande tema, la grande urgenza è proprio l’immaginazione del mondo, la sua rappresentazione come presupposto e come conseguenza. Perché nella sua intelligenza credo risieda la chiave, il grimaldello per sopravvivere. Sarò romantico, ma lay0ut diventa una forma di sostentamento non economica né sociale. Non voglio che si sembri Mazzarò a bastonare le proprie galline in tondo perché nessuno ci seguirà. Siamo apocalittici per avere torto! E infatti non scriviamo che per un divertimento delle arti, come volgere lo sguardo, lasciarsi attrarre da una conoscenza e da un discorso non settoriale, ma generale organico inorganico, che riguardi il mondo con noi, per chiunque abbia voglia intragire, senza distinzioni e senza scendere a patti, perché la lezione di Ejzenštein sul contrappunto sia permanente. Per una memoria del mondo in presenza, consapevoli dello schermo d’immagini.
Per me, il mio personale modo di procedere sarà verso una critica che dismetta un po’ quel suo tono di lusso epistemologico, perché, pur volendolo, i cortili squadrati con l’edera non si possono attraversare. Con metodo! Però “la forza dello stile, l’energia dell’analogia, possono far penetrare l’ermeneutica e la valutazione nella sfera della fonte primaria” (George Steiner, in Vere presenze, chiudendo il cerchio). Ora che siamo online svestiamoci camminando senza pudore o con un pudore nel senso della libertà e non della censura. Liberiamoci metodologicamente. Tra l’incontro o l’allontanamento dalla fine della fine mettiamo lo smoking da nihilistic penguin o impariamo a orientarci al buio, che fa lo stesso.