La redazione di Lay0ut ha attraversato e vissuto gli spazi del Festival di Letteratura Working Class organizzato dal Collettivo di Fabbrica GKN, la casa editrice Alegre e Arci Firenze. Avevamo già ospitato il racconto di Alberto Prunetti della scorsa edizione, che trovate qui. Questo è un racconto critico di quelle giornate, di cosa hanno significato e di come hanno contagiato le nostre sensazioni.
Un racconto critico del Festival di Letteratura Working Class di GKN
«Si continua a parlare di crisi, ma io vedo i festival pieni e gli operai abbronzati». Queste parole di Dario Salvetti mi hanno fatto morire dal ridere. Immaginati un gruppo di persone che da tre anni svolgono una lotta che non è solo propagandistica o simbolica: GKN lotta per la sopravvivenza, per il lavoro, per il pane. Tu immagina la coscienza pulita che puoi avere per arrivare a fare dell’ironia. Per me, dalla mia posizione di privilegio, al festival Working Class abbiamo vinto. Abbiamo vinto su una quantità di aspetti tale da fare impallidire qualsiasi movimento, manifestazione, corteo. Abbiamo avuto tutto: se in quel momento tutto il mondo oltre Campi Bisenzio fosse scomparso, noi avremmo vissuto sicuramente nella forma di civiltà migliore che l’occidente abbia sperimentato.
Dico dalla mia posizione di privilegio perché, sì, ad un’autoanalisi nemmeno troppo articolata mi scopro privilegiato: ho uno stipendio mensile che mi permette, arrivando in pari, di vivere il mese seguente. So anche, però, di aver visto quelli altrui, di privilegi: vi ho visti spillare i due euro di mancia dal vostro portafoglio Gucci dopo aver speso duecento euro in coppia al ristorante gourmet. Io vi mettevo il cappotto, ve lo toglievo, con una spatola d’argento vi pulivo il tavolo dalle briciole. Mi mozzavo la lingua, ascoltando i vostri discorsi: sono stato menzionato negativamente in una recensione su TripAdvisor (ve la linko) per essere intervenuto in un discorso politico. Mi avete dato del pentastellato. Io vi avrei mangiato la faccia. La mia subalternità non mi permetteva di avere un’opinione, ma solo di ricercare i soldi per pagare affitto e università. Ora, invece, ho dei privilegi: ho il potere di mettere per iscritto la mia rabbia, la mia voglia di rivendicazione. E ve la spiattello tutta.
Purtroppo il festival è finito, è durato solo tre giorni. Anche se quei tre giorni sono stati sufficienti per abituarsi. Francesca Coin, dal palco, l’ultimo giorno, ha confessato di essere stata «di merda» nei giorni precedenti e di non essere stata sicura di partecipare. Ha scelto di esserci, e come una panacea la lotta condivisa le ha tirato su il morale. Questo è il semplice effetto della politica reale dal basso: il benessere individuale e collettivo. Prima vittoria. Diciamocelo seriamente: riuscire a costruire uno spazio sociale e comunitario così reale, inclusivo, attento, fertile è impresa difficile, lo sa chi frequenta quel picco di tossicità che sono gli eventi letterari, i festival, le fiere, quelle sagre della superficialità dove lo spettacolo è il vero ospite, il vero focus, e gli umani che attraversano gli spazi solo le comparse, solo l’estensione dei loro portafogli. E il collettivo di fabbrica exGKN questo lo sa bene, loro sanno tutto. Infatti, Non siamo qui per intrattenervi era il motto di quest’anno, mutuato dal volume di saggi letterari di Mark Fisher. Capite la portata? Noi qui si fa un lavoro, si fa una lotta; non simbolicità fine a sé stessa o all’accrescimento del capitale di qualcun*. Dunque tutte le altre manifestazioni letterarie italiane: asfaltate, direi proprio derise perché da dove siamo noi, fate solo ridere. Del modo in cui ci si relazionava, forse non vorrei parlarvi, perché non sono sicuro che possiate capire. Capire la cura delle persone in coda per prendere la birra, senza l’ansia e la competitività di superarsi; capire il mutuo aiuto che volontar*, pubblico, ospiti praticavano nelle normali attività della giornata, nello svuotare i cestini, nel sistemare le sedie; capire la comprensione verso le persone che hanno organizzato, ponendoci di fronte a loro senza pretese, con ammirazione e, ancora, cura; capire gli sguardi, gli applausi, i sorrisi, le urla.
La prima vittoria, dunque, è la vittoria sociale: l’aver dimostrato che uno spazio può essere attraversato e vissuto nella piena collaborazione e nella piena serenità della sinergia umana. L’attenzione rispetto ai bisogni alimentari, lo spazio dedicato a* bimb*, con attività preparate: forme di attenzione che non rientrano nei piani delle fiere. Era la struttura sociale e organizzativa, ad essere vincente, così come le persone che hanno voluto esserci. È logico, dunque, che anche l’aspetto scientifico e contenutistico fosse vincente: se l’attenzione alle strutture organizzative, che sarebbero il corollario dei libri, è così ligia e sentita, allora anche i prodotti culturali e concettuali che si mettono sul palco saranno di alto livello, sia umano che culturale. Sì, umano e culturale, perché ve lo dico con chiarezza perentoria: la storia del separare opera e persona è un po’ una boiata. Prima di tutto perché, come è stato ribadito più volte durante il festival, si rimuovono le condizioni di presa di parola del soggetto, seconda cose perché io mi sono cacato la minchia di avere a che fare con persone del settore letterario che si comportano come viscide salamandre in cerca di visibilità o prese dall’ansia del mantenere il proprio status quo socioculturale. Nella mia breve carriera da critico nel mondo della poesia, ho visto persone accendersi sigarette in luoghi chiusi frequentati da bambin*; persone rubare alcol dal bancone di un poverissimo locale; ho assistito a molestie e violenze verbali contro persone con utero; assistito ad esclusioni ed emarginazione di persone non in linea con la decenza neoborghese; devo continuare? Le persone di merda, con tutto il rispetto per l’autorità, devono smetterla di occupare luoghi pubblici, tutto qua. Noi, al festival GKN si stava bene perché tutt* condividevano dei valori standard che sono i valori della possibile convivenza multiforme tra persone multiforme. Era l’unico luogo dove sapevi di poter entrare a casa tua, anche di fronte ai cancelli di una fabbrica.
La vittoria scientifica, quindi. Sul palco del festival studios* e scrittor* come Brigitte Vasallo, Antony Cartwright, Eugenia Prado Bassi, Giusi Palomba, Ferruccio Brugnaro, Magnus Nilsson, Annalisa Romani, Wu Ming 4, Simona Baldanzi, persone unite dal lavoro e dalla lotta, nelle forme più diverse. Sul palco del festival GKN c’era Redacta, l’unica associazione che parla del grande rimosso della filiera editoriale, ovvero i fottuti soldi, i compensi, i diritti, le condizioni di lavoro (trovate qui il loro sito, con la nuovissima guida ai compensi e l’algoritmo per i preventivi dei lavori editoriali). Noi non ci fregiamo di avere libri letterarissimi perché non ci interessa così tanto, ci interessa come vengono fatti, i libri, le narrazioni che possono rientrarci. Narrazioni che sono, sempre, frutto di condizioni materiali. Un generale intasamento di prodotti letterari che non fanno altro che riprodurre, come il frattale che richiama proprio Vasallo, le forme economiche e sociali in cui si vive. Per questo noi vogliamo scrivere storie diverse, scriverle in modo diverso, e scriverle nella nostra lingua, rispecchiando la nostra esistenza. Se il paesaggio dell’immaginario non riesce a smarcarsi dalle forme sociali adatte e accettate dal sistema vigente, allora immaginarsi come il mondo possa differire da come è sarà sempre più difficile. Per questo siamo qui, per questo raccontiamo questa storia e altre storie, nostre e altrui, che trovano poco spazio nelle vostre riviste e nei vostri cataloghi. Abbiamo vinto, quindi, perché sappiamo cosa è giusto dire, cosa vale la pena dire e come dirlo, e non ci pieghiamo alle vostre narrazioni, anzi, dimostriamo quanto le vostre siano aleatorie, futili, finte. Seconda vittoria.
La terza è quella che mi ha fatto piangere. Sarà stata quella buonissima birra pomeridiana sotto la stecca del sole o l’amore che provavo in mezzo a quella marea, ma ho pianto di felicità. L’ideologia dominante (noi sputiamo sulle parole di chi afferma che non vi sia ideologia nel mondo, che siano morte: l’attuale assetto del mondo è determinato da una precisa ideologia) occidentale continua a cristallizzare le strutture economiche in modo tale da concretizzare la mancanza di alternative. “Il capitalismo funziona bene ed è la migliore e unica forma economica che possa soddisfare le nostre società”. Ma il capitalismo non ha una coscienza o dei principi, e se il nostro pianeta si trova in condizioni di disagio ecologico è anche e soprattutto colpa di questa forma economica. Il collettivo di fabbrica aveva già proposto alla direzione della società la conversione di una parte di approvvigionamento energetico tramite pannelli fotovoltaici, chiaramente senza sortire alcun tipo di interesse da parte della società. In questi tre anni di lotta GKN, il collettivo ha vissuto il presidio di fabbrica con l’energia dello stabilimento, fino a quando, casualmente pochi giorni prima del festival, qualcuno si è intromesso nella fabbrica manomettendo il quadro elettrico. Signore e signori, questo si chiama squadrismo. Chi ha sfanculato il quadro elettrico sapeva benissimo dove mettere le mani e come farlo.
Alla faccia dello squadrismo impresario, la solidarietà delle persone ha raccolto generatori e gruppi elettrogeni, il festival GKN lo abbiamo fatto nonostante i loro attacchi. Chi arrivava con le taniche di acqua potabile, chi portava materiali e utensili utile per l’organizzazione, chi concedeva la propria forza lavoro per far funzionare una macchina sociale. Sinergia solidale. Ma il bello arriva a metà del pomeriggio dell’ultimo giorno. Dario Salvetti comunica, sempre con la sua lucidissima ironia, che qualche ignoto ha raccolto fondi per comprare 20 pannelli fotovoltaici, ha percorso 2300 km con un rimorchio, dalla Germania a Campi Bisenzio, per portare i pannelli al presidio di fabbrica. Questi ignoti, con le competenze che il mercato richiederebbe, hanno montato e attivato i pannelli: il presidio di fabbrica riaccende la macchina del caffè, la luce è tornata. Qui, in questo momento, si tira una sberla al capitalismo da rovesciargli la faccia, e magari sputare qualche dente. Niente chiacchiere o proclami: in quel momento si è dimostrato che il capitalismo si può sconfiggere con la forza sociale, con la volontà della ragione, con l’ottimismo della lotta. «Abbiamo fatto in 48 ore quello che il capitalismo non ha fatto in undici anni». Non so se avete compreso, ma la portata di questo gesto è già rivoluzione.
L’ultima vittoria – l’ultima di quelle che vorrei raccontare, ma ce ne sarebbero molte altre – è quella contro l’immobilismo. Siamo sempre schiacciat* da questo senso di impotenza, di impossibilità di azione. Il festival GKN è stato tutto una dimostrazione di agency, di prassi. Avete mai visto un festival di letteratura che, ad un certo punto, abbandona i microfoni per impugnare megafoni, striscioni e fumogeni? Eravamo circa 5000 persone: ci siamo alzat*, ci siamo pres* per mano, e abbiamo iniziato a camminare. Quando hanno annunciato il corteo io mi sono squagliato, ero emozionato. Un festival che diviene corteo, una marea di persone che studiano, imparano, si mettono in marcia per la lotta. Eravamo una marea e ci volevamo bene, sapevamo che era il posto giusto dove stare. Il corteo, la piazza, questi sono i luoghi dove perdiamo il nostro nome, la nostra carta d’identità, per essere persone tra persone che camminano verso lo stesso luogo, che condividono una visione del mondo, una destrutturazione del mondo. Anche lì mi sono commosso, perché urlare all’unisono ha una forza pazzesca, non so quale sostanza si scateni nel nostro metabolismo ma lì in mezzo, tra tutte e tutti, ci si sente bene.
Lay0ut ha vissuto ogni giorno del festival di GKN, abbiamo scoperto che quella è la vita vera, la vita che vogliamo. Ci siamo sentit* tutt* male il giorno dopo, nel momento del ritorno alla (a)normalità. Come se avessimo aperto una finestra, uno scorcio sul mondo possibile che vogliamo, ma ancora una volta si sono chiuse le tende, sappiamo che sta lì ma non possiamo toccarlo. Lay0ut era l’unica redazione di rivista ad esserci: abbiamo fatto qualche turno da volontar* e abbiamo messo tutte le nostre persone all’interno di quella comunità, di quell’ambiente. Lì abbiamo sentito che stavamo bene, nel posto adatto. I miei colleghi e le mie colleghe di dottorato non so nemmeno se avessero idea del festival di letteratura working class di GKN, non c’erano i e le docenti dell’Università di Firenze, non c’erano altr* editor*, non c’erano le cattedre universitarie ufficiali. Io mi sono vergognato per loro, perché credo che la consapevolezza sia fondamentale, e loro non capiscono un cazzo di quello che sta succedendo. Ma l* capisco, e me ne dispiaccio. La domanda è sempre quella, infatti: ma voi come state? Perché ci vuole quella cosa chiamata coscienza di classe per rendersi conto di essere sfruttati da un sistema produttivo e stare di merda. Chi non c’era, ovvero la maggior parte delle persone addette alla cultura, persone che dovevano esserci, deve essere consapevole di una cosa: come 85 anni fa diceva Brecht, la letteratura verrà esaminata. Ora non solo la letteratura, tutta la cultura. Voi non ci vedete bene perché avete degli occhiali oscuranti, degli occhiali edulcoranti, ma sappiate che in Italia c’è una schiera di giovani persone coscienti, incazzate e con una cassetta d’attrezzi politici da non sottovalutare.
Questi siamo noi, la “seconda famigghia” come ha scritto Demetrio Marra nel suo nuovo libro di versi. Questa è una parte della redazione di lay0ut magazine, la rivista che si prende cura di voi, e si lascia curare dal festival, dalle crisi, dalle lotte, dell’amore, dalla comunità. Presto ci saranno delle novità, ci si avvicina al cartaceo, ma quest’anno lo si supera.
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