I compositori del Novecento, Ludwig Van riscritto
Il 2020 doveva essere l’anno di Ludwig van Beethoven: 250 anni dalla nascita del compositore di Bonn, con celebrazioni in tutto il mondo e concerti su concerti dedicati. Non che se ne senta effettivamente il bisogno o la mancanza: Beethoven è in assoluto il compositore più eseguito nelle sale da concerto da molti decenni, uno dei più famosi presso il grande pubblico e il terzo più ascoltato su Spotify (dopo Bach e Mozart). Chiunque sa canticchiare, se non altro, il finale della Nona Sinfonia e il tema di Per Elisa. Per chi è un musicista, poi, la sua conoscenza è obbligatoria: infallibilmente dovrà studiare qualche suo lavoro, con pochissime eccezioni. Chiedersi come vari autori abbiano rimesso in circolo Beethoven sfruttandone la riconoscibilità: siamo qui per questo: parodie, citazioni, omaggi goliardici, fedeli tradimenti.
Parodie
Tra i lavori parodistici, rientra uno dei brani più celebri di Louis Andriessen, Le nove Sinfonie di Beethoven per orchestra e campanella da gelataio: un collage di pezzi delle sinfonie di Beethoven (e non solo) che vuole chiaramente prenderne in giro la sovrabbondante presenza nelle sale da concerto, contrapponendogli sonorità più pop, e quindi protestando in modo aperto verso un culto percepito come frutto di vecchiume e staticità. Scritto nel 1970 per il bicentenario della nascita, compare nello stesso anno insieme ad altri due lavori che possiamo dire dipendenti dal materiale Beethoveniano: Kurzwellen mit Beethoven di Karlheinz Stockhausen e Ludwig van di Mauricio Kagel. Il primo è una rielaborazione di un precedente lavoro di Stockhausen in cui sei esecutori utilizzano degli strumenti e delle radio ad onde corte, che in questa nuova versione si sintonizzano su quattro nastri contenenti lavori di Beethoven e la voce registrata di Stockhausen che legge frammenti dal testamento di Heiligenstadt, il risultato sonoro sembra pensato per introdurci all’interno del peggior incubo lisergico che un’uomo del primo ‘800 potrebbe mai aver avuto. Il secondo è un film in bianco e nero basato su un’indagine della figura del compositore, anche qui in merito al culto e all’uso strumentale che ne è stato fatto. Realizzata in modo provocatorio e dissacrante, la pellicola ci ricorda che nulla è sacro, neanche l’autore della Nona.
Stockhausen – Kutzwellen mit Beethoven, conosciuta anche come Opus ’70
Citazioni
Troviamo musica di Beethoven, ancora una volta come citazione ma ben più breve, all’interno del primo movimento della Sinfonia N°1 (1969 – 1974) di Alfred Schnittke: qui il compositore utilizza un frammento dall’ultimo movimento della Sinfonia N°5 per poi destrutturarla in un grottesco caos. È una sinfonia interamente fatta di citazioni, e sembra volerci suggerire che niente può essere detto di nuovo, visto che ogni opera ha un debito con le precedenti. Emblematica dell’atteggiamento divertito e piratesco di Schnittke è la chiusura della Sinfonia, con quel “Sinfonia da capo”, a sottolineare come debba ricominciarsi dall’inizio (per un totale di 2 ore e 10 di musica).
Omaggi goliardici
Beethoven viene sfruttato ancora con intenti umoristici, ma molto diversi, da P. D. Q. Bach: pseudonimo di Peter Schickele, che finge di essere uno studioso che ha riscoperto la musica di questo figlio dimenticato di Bach; la musica di Schickele può essere considerata una vera e propria “parodia colta”, infarcita di citazioni di matrice più buffonesca che dissacrante. L’autore reinventa l’esecuzione della Sinfonia N°5 trasformandola in un evento sportivo: commentatori che narrano ciò che succede, arbitro, moviole, cheerleader, infortuni e sostituzioni, in un capovolgimento pretestuoso di uno dei monumenti della storia della musica per uno spettacolo comico particolarissimo.
Fedeli tradimenti, per chiudere
Sempre fra i russi ma più seriamente, Dmitri Shostakovich cita Beethoven nel terzo movimento della sua Sonata per viola (il suo ultimo brano, del 1975), riprendendo la Sonata al chiaro di luna, un brano che, per quanto piuttosto tradizionale nei mezzi compositivi impiegati, riesce a rendere perfettamente l’idea del clima da guerra fredda in cui è nato. Più recentemente (2012) John Adams ha composto Absolute Jest, per quartetto d’archi e orchestra, in cui attraverso una sensibilità minimalista viene riattraversato del materiale musicale del periodo tardo di Beethoven, in special modo dagli scherzi (come si può intuire dal titolo) e dagli ultimi quartetti. È come se Adams li campionasse e li trasformasse in loop da far ripetere ossessivamente attraverso un computer, ricontestualizzando e dando un’identità diversa al materiale originale, ma tutto sommato senza snaturarlo, a differenza i lavori precedentemente citati, superando così quel rapporto complesso che hanno avuto i compositori già dall’epoca di Brahms con il Maestro di Bonn: l’eredità pesante ed onnipresente di un autore con il quale si rischia sempre il confronto, l’ammirazione naturale che chiunque studi musica non può non tributargli e, allo stesso tempo, il misto di fastidio e invidia verso colui che, pare, resterà l’unico ospite davvero imprescindibile per qualsiasi stagione concertistica, da qui alla fine dell’esistenza delle orchestre.
In copertina: foto di Suzy Hazelwood da Pexels.