Risorge Presa d’aria, rubrica di poesia inedita e poetica a cura di Matteo Cristiano e Dimitri Milleri, in veste rinnovata per il 2025. Da quest’anno niente più interviste classiche: solo testi di critica apparentemente classici, in realtà strutturalmente ibridi, fortemente partecipati e pensati per ricostruire i vari scambi avuti con l* autor* nel tempo. Il tutto tramite la voce dell* redattor*. Per ripartire, presentiamo l’attualmente inedito Andrea Piasentini (1995).
Poesie dell’autore, tuttavia, hanno fatto capolino con su Formavera nel 2021. Nel corso del dialogo avviato con Dimitri Milleri a inizio anno, sono emersi i riferimenti lirico-tragici di Piasentini e la sua necessità di individuarsi, la sua preoccupazione autenticista e il suo tarlo formale. Questo e altro, appena qui sotto.

Poesia tramite mail – parte prima
La prima poesia che ho selezionato da Qualche via intorno, silloge che Andrea Piasentini ha inviato nel buco nero di una delle mail di redazione tempo fa, credo sia adatta a rappresentare l’organismo testuale entro il quale si è generata e continuerà forse a determinarsi. Le genealogie e gli innesti a cui l’autore ricorre sono qui relativamente scoperti, ma la percezione che il testo regala è quella di un cambiamento dall’interno dei codici chiamati in causa, e non quello di una buona convivenza di nomi in un cocktail ben preparato.
Diamo un’occhiata a Le foglie in casa, in coda all’articolo.
A voler essere burocratici, vi si potrebbero notare la sintassi attorcigliata e la sovrapposizione analogica fra il parlante e la realtà narrata di cui si circonda, la preoccupazione fenomenologica, le sfasature spaziotemporali che problematizzano la coesione della rappresentazione e la comparsa di figure totemiche in odore di pseudo-personaggi potenzialmente ricorsivi. Procedimenti e materiali, questi, variamente conosciuti.
Non siamo di fronte a una scrittura fondata sulla radicalità del gesto compositivo e sulla sua capacità di rompere la cornice pragmatica di riferimento del prodotto-poesia, ma su un tentativo di radicamento e di presa di parola a partire dai codici. Questi, per buona parte afferenti alla parabola più recente della tradizione lirico-tragica, sono di per sé inerti. Non esiste nessuna prospettiva autoevidente capace, oggi, di porli su di una posizione conoscitiva privilegiata. Per essere riscattati, hanno bisogno che una quantità interconnessa di fatti tecnici ne rifondi la natura, permettendo a una soggettività-dispositivo, ovvero un* autore, di inventare le condizioni per una loro ricezione rinnovata.
Esagerando, diciamo che l’uso di questi codici presuppone l’aver accettato un certo grado di impostura, di contaminazione con gli affetti derivanti dagli effetti della scrittura. Da questi testi la cognizione altrui non è chiamata alla critica intellettualistica dei risultati, ma è attaccata nel cuore delle sue facoltà di rispecchiamento e costretta a diventare-come. Sta qui per me la differenza vera fra noi e chi fa ricerca-ricerca: noi accettiamo di operare in queste atmosfere. Vogliamo l’affezione si moltiplichi, sfondi le resistenze di soggetti vagamente vulnerabili, plasmabili: non la lasciamo al caso. Non alimentiamo un procedere critico, sottomessi come siamo a questioni ben più minime.
Ovviamente, non sempre i testi si dimostrano all’altezza del potenziale di novità non nuova dell’opera: in molti di quelli che l’autore mi ha concesso di leggere i prestiti franano e lo rallentano, rivelandosi e rivelandolo in un tentativo di amministrazione: è già compiacimento. Nei momenti migliori si percepisce l’emergere di un piccolo mondo entusiasmante, percorso da tensioni derivanti dall’acutezza dello sguardo da io-a-io, minuzioso e felpato, semi-neutrale sul piano del conflitto e quindi da non fidarsi, angosciante. Non solo: anche la distanza a cui le altre figure ruotano attorno al parlante risulta sospetta – per non parlare dei loro movimenti – ed è impossibile stabilire chi impersoni il negativo.
Oltre all’edging del giudizio appena descritto cosa si vede? Sicuramente la concentrazione della struttura linguistica, sicuramente un immaginario che sarebbe troppo generoso definire originale, ma che grazie alla sua coerenza e alla capacità di disseminarsi pazientemente riesce a diventare specifico.
Ora si tratterebbe di intonare perfettamente questa lingua, e di fare in modo che i residui di altri momenti e altre sensibilità non si frappongano alla molteplicità univoca a cui l’opera dovrebbe prima o poi pervenire.

Poesia tramite video – parte seconda
O almeno: questo era, al netto di qualche variazione, l’augurio inviato per mail a Piasentini in attesa di incontrarlo in una stanza di Meet. Chiaro che, ragionandone faccia a faccia, ci saremmo poi abbandonati alla danza della negoziazione degli intenti, attività che sta alla critica pura diciamo pure come il tuning sta all’automotive. Sempre un’intonazione.
Ciò che Piasentini mi ha maggiormente rimproverato (senza farlo) è la mia innegabile tendenza escatologica. Quella voce nella testa che mi invita ad armonizzare i materiali, nascondere i prestiti, limare le punte, massimizzare il potenziale seduttivo delle opere armarle fino ai denti di fatto a scapito qualsiasi pretesa di verità o peso documentario della letteratura.
Insomma: se leggendo versi come «le vere percezioni, maree lucenti / dei giorni, tutte cose colte solo diffusamente.», da una poesia che non ho incluso qui, con quell’enjambement esplosivo, l’odore del baschetto nero di Mario Luzi è l’unica cosa a cui riesco a pensare, potrebbe darsi che il problema sia mio. C’è poi da dire che questo tipo di estrapolazione è disonesta, e che i versi sono preparati dalla crescita di un organismo a cui appartengono.
Tutto preso da quell’odore, mi starei perdendo qualcosa di fondamentale: quelle parole sono comparse lì, in quell’ordine e in un certo momento, per una qualche ragione. E tanto basta a dargli cittadinanza, a farne il segno di qualcosa. Qualcosa che riguarda l’autore e una sua preoccupazione o inclinazione verso un certo tasso di – estremamente complessa e mediata – autenticità.
Invece, ciò che ho rimproverato e rimprovero all’autore (quasi senza farlo) è: allora perché l’editing, perché i versi, perché il testo scritto, perché non un audio, perché la grafofissazione, perché l’opera, perché la vita cosciente. Stiamo davvero facendo qualcosa di pulito con questa storia della letteratura, possiamo davvero essere salvate? esiste un fondo che non sia performativo? Io rispondo di no, ma capisco il valore dell’affezione per una certa scelta, il bisogno di mettere un limite alla mutazione riscritturale.
Che sia quella che ho già conosciuto la veste destinale di questi testi, o che sia soltanto una fotografia bruciata estratta dalla serie infinita di un saṃsāra testo-generativo non è possibile dirlo. Malignamente, potrei gufare che una necessità di allineamento si imporrà spietatamente al momento del loro inquadramento in una forma più ampia, con la sua funzione e le sue esigenze. Ma è un colpo basso. Per adesso leggiamoci i testi di un autore ancora largamente interrato senza far troppe storie, se non altro per la sua capacità di interessare.

Poesia tramite poesie – parte terza
Andrea Piasentini, tre inediti da Qualche via intorno
LE FOGLIE IN CASA
Venendo l’autunno, crescono mucchi della magnolia.
Vedo attorno casa
che le foglie cadono
senza che nulla le raccolga;
Lui li osserva: cose non troppo separate fra loro,
specie in pensione
quando ha tempo di usare la bici.
Nel suo sperare sommesso e continuo che le cose siano davvero cose, fatti, e non a volte anche immagine o caos o vapore, c’è molto del mio dire ai muri: ascolta, ora sì, è decisamente il tempo della serenità, mentre tutto in realtà, nella casa di turno dove sto, è avvolto da un crepaccio – strana immagine.
Sempre a letto, il cigno è steso
in una scatola buia, semi-medievale,
con altre scatolette.
I due inquilini che lasciano
sempre più le foglie invadere
la mente. Di notte
con il cervello unito, in camera.
Registro tutto fedele
tenendomi ai muri
anche se (devo dire) c’è molto vuoto.
Al cigno aumentano nel petto i battiti,
che gli fanno reclinare il collo,
in cerca della dura madre.
***
DOPO LE URLA
Un giorno, sopra il marciapiede viola e marrone stava fermo un riccio
che attendeva di non essere guardato.
Il gemello mai nato, sempre fra le lenzuola,
premeva il riccio
dentro il mio orecchio
da cui uscivano un po’ di plastica,
dei lego, i dentini, e le campanule:
dei fiori viola
con cui poi avrei ricevuto nei sensi
il mondo.
***
25 OTTOBRE ’23
Bisogno di essere visti sempre e ovunque
finiscila, mettilo via. Il pulpito
è quello di sempre: dev’essere invisibile
eppure ti piace fingere non esista.
Il limite fra un tasso giusto
e uno sporco (ma tutto è sporco, è provato dall’esperienza comune)
è quasi etereo,
lo conosce chi sa come spremersi
senza usare troppo il cervello,
è il colpo di verità: finiscila, metti via questa voce non tua;
quelli che hai sono timbri e idee
come giocattoli.
Smetti che la presenza
ti torturi per favore
entra all’esterno
e ascolta: c’è ancora spazio.

Andrea Piasentini è nato nel 1995 ad Abano Terme (provincia di Padova). Vive nella periferia o quasiprovincia padovana, e lavora come assegnista all’università, dove ha studiato lettere moderne.
Leggi anche le prese d’aria! del 2024
L’apparato iconografico è composto di rielaborazioni da fotografie digitali di Rogier Houwen
Questo articolo è dedicato a Noemi Nagy e Riccardo Innocenti,
ex-collaborator* di Presa d’aria