Ciao! Stai ancora sguazzando nella wave sono hackeratə? dai un’occhiata qui, qui e qui :)))
Possibilità e destino dell’immagine artificiale
Da poco si è chiuso un primo ciclo della storia dell’immagine digitale, in corso dal distantissimo 1982. Secondo il Fred Richtin di After Photography (2009) così era cominciato: con le apparenze della funzionalità ingenua. Due piramidi avvicinate in post produzione per farle sovrapporre nella copertina di National Geographic; finisce ora con il Papa Francesco blurry confezionato dal cappotto bianco. Come tutti gli scatti storici ad alto rischio di simbolizzazione, l’avvento dei nuovi deepfake vaticani by midjourney ha spinto più di qualcuno a tirare una somma, seccamente riassumibile in “nessuna immagine può più considerarsi naturale, oggettuale, affidabile” – e, di conseguenza, “abbiamo bisogno di garanti sicuri per le immagini documentarie”. Nell’ambito del giornalismo e delle attività istituzionali tutte, credo, è scontato desiderare un certificazione credibile per le immagini non alterate o hackerate. Fuori, e nel fuori allo stato supercritico dell’esperienza estetica in particolare, la diade reale-irreale può risultare tuttavia fuorviante, parecchio. L’incontro recente con le persone e le opere di Martina Corà e Mattia Balsamini, mi ha dato l’occasione di rendermi conto di quanto possa diventare complessa e ambigua la convivenza con i nuovi media, queste creature potentissime e sceme. In particolare, come un Venom o una muffa, la portata allucinatoria dei devices è arrivata ad hackerare la sensibilità di Mattia e Martina al punto da innescare una specie di contrattazione, il tentativo di costruire un’etica (meno: una regola) del sortilegio mediale. Ma andiamo per ordine.
A sx: Mattia Balsamini, da Protege Noctem; a dx: Martina Corà, da SIG NUM X CAREOF
Corà e Balsamini da dove vengono (l’esterno, l’obiettivo)
Balsamini proviene dalla fotografia commerciale, Corà dal reportage. Entrambi, pur nelle differenze degli ambiti, si sono formati fra le strettoie dei generi, la fecondazione artificiale della committenza, il particolare corsetto che in impiegatese si dice la missione. All’epoca di Magno Vacuum Martina Corà era appena uscita dallo IED – in cerca di una porzione di realtà in cui incarnarsi per raccontare. Il suo interesse si era affacciato sul volto dei litorali turistici durante la stagione invernale. Un vuoto grande, oltre che nel visibile della quasi modularità orizzontale, nella gestione della griglia e nella frustrazione di un orizzonte ricondotto ai toni medi della luce, era nello scattante e nel suo non-interventismo. Si intuisce che ci fosse la necessità di limitare al minimo le contaminazioni di un’estetica soggettiva, estetica che già nella cromia, nell’uso della sfocatura, e nella composizione si lasciava intravedere in altri lavori di questa prima fase (Untitled I, Nuovo paesaggio, Angolo cieco). Quanto a Balsamini, il suo lato più “professionale” lo si apprezza nei scatti fondati sulla ritrattistica degli oggetti o sull’ordine del mondo, quest’ultimo indagato tramite la composizione e la ripetizione variata di forme all’interno di uno stesso scatto (si vedano per esempio le serie per Maserati e Lamborghini, nonché quella basata sulla preparazione dell’astronauta Alexander Gerst, diretto verso la Stazione Spaziale Internazionale).
Un’altra cosa che accomuna i due artisti è il fatto di aver attraversato, e si direbbe lasciato sullo sfondo, il registro ironico: nel caso di Martina Corà mi riferisco a due opere che hanno segnato l’inizio della collaborazione con la galleria Viasaterna, che ad oggi la rappresenta. La prima è Quadri cinesi che si muovono, quadri-gif in cui l’immaginario statico del sublime settecentesco (cascate, vulcani, esplosioni, fulmini… con tanto di cornice dorata e riccamente fregita) è movimentato attraverso la linea tratteggiata del lazo di Photoshop; la seconda è OOOOOLYMPICS, in cui a scontrarsi sono il retrò e l’antico: dei frame dalle riprese delle Olimpiadi degli anni Ottanta e Novanta vengono sovrapposti a ceramiche greche fotografate su vecchi supporti da esposizione museale, contro sfondi monocromi di quel che sembrerebbe velluto. Parlando con l’artista, è emerso che queste esplorazioni del kitsch sono state un modo per esorcizzare l’ingresso ufficiale nel mondo dell’arte contemporanea e del suo mercato, il che ci riporta al discorso del fare arte come imboccando una deviazione, per serendipità. Diverso è il caso di Failure, di Mattia Balsamini, una serie in cui le creature-oggetto vengono colte nel momento di massima inadeguatezza (lapis e catene che si spezzano, schermi che vanno in frantumi…). Ci sono sfondi saturi, contrasto e ombreggiature calcati – a riguardo l’autore mi ha parlato di humor nero, della sua difficoltà ad intendere l’ironia come alleggerimento. E sul sentire greve, sulla necessità di prendere sul serio quello che viene attraversato dallo sguardo e non solo, vorrei adesso parlare di opere più recenti, quelle che popolano le immagini dell’articolo.
Balsamini e Corà dove stanno (l’interno, l’esperienza)
Come quella precedente, anche alcune delle produzioni più recenti degli autori presentano dei punti di contatto. Mi riferisco, in particolare, ai progetti Protege Noctem e ll suo buio speciale di Mattia Balsamini, e al progetto SIG NUM (ongoing) di Martina Corà. In entrambi la prospettiva del reporter e il sogno di un’oggettività si spezzano, come se un occhio (umano oppure) non fosse sufficiente a rendere conto del fenomeno indagato.
Può apparire controverso che Corà parli di SIG NUM, il suo lavoro più complesso e multimediale, come di un ritorno allo spirito di Magno Vacuum, a quell’intenzione documentaria. Si tratta di un’azione-installazione site-specific, nata per conservare “la memoria di un contenitore, il ricordo delle pareti, dei pavimenti, dei soffitti”, e che finora ha trasfigurato i segni di uso e usura di cinque spazi reali e uno finzionale. La prima incarnazione del progetto, ancora eminentemente fotografica, è nata da un atto d’amore verso la prima casa milanese in cui l’autrice è vissuta da sola, ed è stata esposta presso Nowhere Gallery nel 2017. Da lì in poi l’autrice ha iniziato a tradurre le immagini fotografiche degli interni in colonne sonore tramite l’automazione di un software, aggiungendo anche altri elementi sonori, la cui estensione e natura fonica riflette di volta in volta i dati visivi. La sperimentazione ha riguardato anche la disposizione delle stampe fotografiche: più liquida e tridimensionale, bisognosa di espandersi nell’ambiente.
Tornando all’oscuro legame con Magno Vacuum, viene da chiedersi il motivo della svolta di Martina per come l’ha raccontata ai tipi di t-mag:
Col tempo ho maturato una certa curiosità verso l’immagine in movimento, ad un certo punto la bidimensionalità della fotografia ha iniziato a starmi stretta ed ho voluto ampliare il mio campo d’indagine, iniziando a sperimentare col video, il suono e l’installazione, nel tentativo di ricreare delle esperienze in grado di colpire allo stesso tempo tutti i sensi dello spettatore
La necessità di sinestesia e multimedialità di per sé non spiega molto, vale quindi la pena congetturare. La passione documentaria di Martina Corà, nel primo SIG NUM, si è scontrata contro la rilevanza del soggetto che pratica lo scatto, con l’affettività della memoria. Quasi che fosse diventata consapevole della presenza, nel dato e nell’occhio in generale, di materia evanescente capace di richiamare il guardante come una sirena. Il focus sembrava essersi spostato, pur nel permanere di una missione testimoniale, dal guardato al guardare – all’esperienza interna dell’aver visto. In quest’ottica, risulta forse più chiaro il perché dei suoni, dei video, della postproduzione, delle installazioni: portare sul piatto non solo l’oggetto, ma anche l’aura che il viverlo ci aveva fatto crescere attorno, l’unicità del suo manifestarsi per qualcuno. Che poi questo qualcuno sia Corà o una creatura inesistente nata dal desiderio-fatto-azione, non è così importante: quello che separa Magno Vacuum da SIG NUM, in definitiva, sarebbe che nel primo caso l’occhio mantiene con la creatura un rapporto distante, lontano; nel secondo creatura e occhio sono una cosa sola.
La possibilità di affezionarsi a un luogo irreale, poi, è al centro dell’ultimo capitolo di SIG NUM, esposto presso Viasaterna, la galleria che rappresenta l’autrice. Passando dal mémoire all’archeologia dello spazio, l’autrice esplora i segni d’uso della villa in Via Saterna, non-luogo attorno a cui ruotano le vicende del Poema a fumetti di Buzzati, da cui la galleria prende nome. L’approdo al colore è stato sottolineato come svolta dall’autrice, e va di pari passo con l’astrazione degli oggetti indagati e, di conseguenza, con uno spostamento ulteriore dalla percezione aumentata alla mitologia “espansa”.
Anche Balsamini negli ultimi anni si è allontanato dal suo medium e dalle sue modalità d’elezione, collaborando con produttori di discorsi e approdando a un metodo di postproduzione analogica (incisiva) che si somma a quella digitale e la complementa. Questo è particolarmente evidente in Il suo buio speciale, un progetto di esplorazione testo-visiva del Veneto contemporaneo svolto in collaborazione con Pietro Minto, in occasione di una residenza artistica presso Villa Filanda Antonini. “Attraverso tredici fotografie di paesaggio, tredici ritratti individuali e tredici conversazioni”, come si legge nella presentazione del libro omonimo che ne riunisce i materiali, Il suo buio speciale “entra in dialogo con il territorio e racconta la storia di un luogo da sempre caratterizzato dalle logiche competitive del fare, del produrre, e che oggi, esaurite le possibilità di sfruttamento delle sole risorse materiali, deve trasformare il lavoro sudato in un altro tipo di impegno, dando nuova e legittima dignità al ‘pensare’”.
Mattia Balsamini, da: Protege Noctem
Dal punto di vista strettamente visivo sono di nuovo i segni a colpire: i buchi neri che abitano i ritratti in negativo e a volte si espandono alla fotografia di paesaggio in biacco e nero, quelli che cancellano porzioni di volto (frecce, costellazioni, rizomi, quasi-proiezioni ortogonali…) trasformandole in immagini sacre bizantine, spesso rigate da un pianto o una cicatrice, attraversate da un’oscura dignità laburista. Parlando con Balsamini, è emerso che la normalità-sacra incarnata dal nord-est italico e dai suoi miti calvinisti, quel normale così diffusamente vivisezionato nei Works di Vitaliano Trevisan, è strettamente relazionato alle sue origini, alla figura di suo padre. Affonda, inoltre, in un certo immaginario alto-italiano che si è formato e magnificato nel secondo Novecento. Anche in questo caso il documento nudo non sarebbe stato in grado di documentare gran parte dell’iceberg che Mattia Balsamini e Pietro Minto (da Mirano, in provincia di Venezia) possono aver ricavato, a livello esperienziale, da quei luoghi, quegli sguardi e quelle conversazioni.
Il coinvolgimento risulta evidente anche in Protege Noctem, ultimo progetto di Mattia ad essere entrato a far parte del suo web-portfolio. Si tratta di un’indagine sui rischi e gli effetti dell’inquinamento luminoso svolta in collaborazione con Raffaele Panizza, anche questa confluita in una pubblicazione. La componente visuale è incentrata sulla luce come bruciatura e sulla cromia alterata, confermando l’ossessione dell’autore per il lume minacciato e minaccioso. Se i picchi negativi e positivi di luce in Il suo buio speciale erano soprattutto scarnificazioni e buchi neri, in Protege Noctem la dialettica è resa più complessa attraverso l’esuberanza cromatica, fra sci-fi e vaporwave, che caratterizza la fotografia di Balsamini. Ci troviamo così di fronte a lotte per il predominio sul visibile fra terra e cielo, lucciole e corpi celesti, abitazioni e astri; ritratti bruciati; fotografia di paesaggio notturna anch’essa rastremata dal fuoco luminoso; strumentazioni tecniche rappresentate come creature bioluminescenti, elaborazioni di fotografie satellitari e carte astronomiche. Sono i temi dell’autore: scienza, ecologia, comunità – e in tutto questo la narrazione del“l’alleanza non ufficiale tra scienziati e cittadini per contrastare la scomparsa della notte e delle sue creature”. Cos’è quindi il buio per Balsamini? Non vuoto ma, classicamente, luogo del privato: della non-performatività, dell’umanità senza ulteriori specificazioni. E si direbbe che la cromia e la fantasmagoria dell’immagine (della composizione e del colore) in Protege Noctem acquistino un valore ambiguo, da mela nell’Eden. Siamo ancora nel pieno del dilemma iniziale, alla difficoltà di trovare una mediazione fra verificabilità tecnica ed espressione soggettiva, accuratezza e sostenibilità. Gli oggetti nella fotografia di Balsamini si animano, le persone si animalizzano, gli animali diventano totem: a dispetto di tutto, quel che sembra importare è che il visibile (senza smettere di dirci qualcosa chiaramente) porti il segno della propensione a un di più, di un rilancio.
Congedo in forma di abbraccio a Martina e Mattia
Siamo partiti dall’oggetto, l’ossessione del Novecento: l’oggetto esterno in cui si è orgogliosi di sparire – militanti, esecutori o professionisti. Abbiamo visto come questo non sia bastato, a un certo punto, come sia emersa la necessità di mostrare cosa, in questo oggetto, ispirasse tanto interesse e calore. Le tecniche digitali e in generale l’hacking del realismo permettono di manifestarlo: nel loro punto più alto sono lo specchio di un interno indimostrabile. Ci siamo spaventati anche, vedendo come di troppo dentro si muore, abbiamo raccontato la ricerca di un equilibrio. Un progetto sulla memoria degli ambienti, uno sulla scomparsa della notte e uno sulla “riconversione ecologica” dell’ideologia piccolo-borghese in Veneto. Le opere di Mattia e Martina come moltiplicazione dell’empatia, ricerca di uno spazio libero dal si fa così, dalla necessità. E in ogni caso dalla dissoluzione: di chi si è acceso dell’aver visto, del tempo per guardare.
A sx: Martina Corà, da SIG NUM X VIASATERNA; a dx: Mattia Balsamini, da Protege Noctem
Mattia Balsamini (1987) si trasferisce a Los Angeles nel 2008, dove inizia i suoi studi al Brooks Institute of California con specializzazione in fotografia pubblicitaria. Nel 2010 inizia a lavorare presso lo studio di David LaChapelle come assistente di studio e archivista. Nel 2011, dopo aver conseguito un BA con menzione d’onore, torna in Italia. Da allora insegna fotografia all’ Università IUAV di Venezia oltre a fotografare ampiamente la tecnologia e le sue implicazioni sociologiche, concentrando la sua attenzione sul lavoro come fattore di identità dell’uomo. Negli anni ha realizzato progetti personali ed editoriali per istituzioni come MIT, NASA e Institute of Forensic Medicine University of Zurich. Le sue immagini rivelano un interesse per le persone e le loro storie, gli aspetti funzionali della tecnologia e gli elementi grafici dell’ordinario. Ha esposto alla Triennale di Milano, al MAXXI, alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo e all’Istituto Italiano di Cultura di San Francisco. Attualmente è rappresentato dall’agenzia fotografica Contrasto.
Martina Corà (Como, 1987) vive e lavora a Milano. Dopo essersi laureata nel 2009 all’Istituto Europeo di Design di Milano con una tesi sul reportage, a partire dal 2010 inizia a sviluppare un interesse sempre maggiore per la fotografia di paesaggio legata alla tradizione italiana, pur mantenendo un occhio di riguardo verso le arti visive. Dopo aver sperimentato con la bidimensionalità dell’immagine, inizia a spostare la sua ricerca verso il video, l’installazione e il suono, dedicando particolare attenzione alla traduzione, intersezione e sovrapposizione che si può creare tra i vari media. Tra le sue mostre collettive e personali, ricordiamo: “Sulla Nuova Fotografia Italiana”, presso Viasaterna (Milano, 2016), “SIG NUM”, presso Nowhere Gallery (Milano, 2017), “Retina”, presso Gluqbar (Milano, 2018), “Casino Palermo”, presso Viasaterna (Milano, 2018), “Stand By Me”, presso Pelagica (Milano, 2019), “Ambiente 1°: La Misura”, presso Nowhere Gallery (Milano, 2019), “In Crescendo”, presso Viasaterna (Milano, 2019), “When You Touch About Me I Think Myself”, presso SIGNS (Istanbul, 2020), “SIG NUM X FIORI ARTIFICIALI”, presso Fiori Artificiali (Milano, 2021), “SIG NUM X CAREOF”, presso Careof (Milano, 2022), “SIG NUM X VIASATERNA”, presso Viasaterna (Milano, 2022), “E Trallerallera”, presso Art On Paper (Lugano, 2023) e “In Crescendo”, presso Volvo Studio (Milano, 2023). Dal 2016 è rappresentata da Viasaterna.
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In copertina: Protege noctem + SIG NUM X CAREOF. Si ringraziano Mattia Balsamini e Martina Corà per la gentile concessione delle immagini per l’apparato iconografico