Ehi! Questo articolo di Giuliana Pala che parla di intertestualità e plagio artistico continua la wave sono hackerato, se vuoi espandere l’argomento.
Je prends mon bien où je le trouve
1. «Art is theft» o: di base stiamo coverizzando
David Shields, scrittore californiano nato nel 1956, con il suo libro Reality Hunger ha generato reazioni più che irruente nel mondo letterario. Una delle domande che sottopone al lettore all’interno del suo libro, definito come «the most provocative, brain-rewiring book of 2010», è se sia lecito che la letteratura mutui qualcosa dalla “poetica del campionamento e della cover”. In breve, se all’autore chiedessero: «È ora o non è ora di legittimare la forma del plagio?», «Good poets borrow; great poets steal»,1 risponderebbe.
Tuttavia il manifesto di Shields non è andato giù a tutti. Qualcuno ha scritto che l’idea è buona, tutto si regge, ma poi si rischia di non voler arrivare fino alla fine, perché il metodo ideato per parlare di fiction e non fiction, del futuro del diritto e dell’idea d’autore, è del tutto nuovo.
È un peccato che il dibattito su questioni un po’ massimaliste o modaiole, ma certo rilevanti come il destino del romanzo, i rapporti tra fiction e nonfiction, l’imporsi di nuovi generi quali il memoir o il lyric essay, il futuro del diritto e dell’idea di autore debba svilupparsi intorno a Fame di realtà di David Shields. Coetzee e altri si sono detti entusiasti. Sarà. Leggere questo «manifesto» può essere come dover ascoltare il Parsifal trascritto per suoneria di cellulare: s’intuisce che, dietro e lontano, c’è qualcosa di grosso, ma l’istinto è far volare il telefonino fuori dalla finestra.
Raffaele Donnarumma: David Shields, Fame di realtà. Un manifesto
Eppure, a mio avviso, giusto o meno che sia, il dibattito aperto da Shields è parecchio interessante, se non altro perché ne vengono fuori diversi spunti, alcuni formali (si guardi a come è stato scritto il libro, se non sia un vero e proprio insieme di furti, un lavoro da Beagle boys) altri tematici e teorici.
2. «Creating with found object» o: di base stiamo mashuppando
Una delle cose forse più cool del libro di David Shields è che ha le sembianze di un mashup: tutto entra, tutto è accolto, e senza convenevoli. «Gymnastic in structure» ha scritto Cathy Alter a proposito della tecnica di scrittura dell’autore e a nostro avviso l’epiteto conta più che una suggestione. Se ascoltiamo un qualunque mashup su Spotify notiamo che non ci sono partizioni tra un brano e l’altro, nessuna voce che entra e avvisa che tra il primo e il terzo artista si colloca un’ulteriore derubato e così, non citandolo, il mashup ci fa assistere al furto.
È esattamente questo uno dei punti forti della scrittura e teoria letteraria di David Shields: la lungimiranza del mashup, il remix, il godere di tutte le possibilità di mixtape, perché se si cambia il contesto cambia anche la connotazione e quest’ultima, in fondo, conta sul qui e ora di chi ascolta. Il furto non esiste finché c’è una mano che lo compie e Focillon lo sapeva bene. C’è un passo degno di nota in Reality Hunger, che mette in mostra come la causa principale del flop di alcune realtà artistiche e della convinzione che la letteratura sia in pieno declino risieda nella mancata partecipazione alla cultura contemporanea. Ignorare le forme di narrazione, presentazione e auto-rappresentazione che ci sono vicine comporta una posizione inudibile rispetto ai discorsi che ci circondano e che, di conseguenza, non riescono a farsi spazio fra intuizione e high-cult:
Why is hip-hop stagnant right now, why is rock dead, why is the conventional novel moribund? Because they’re ignoring the culture around them, where, new, more excinting forms of narration and presentation and representatin are being found (or rediscovered)2
In altri campi dell’arte il furto non è assolutamente connotato. È interessante notare come una larga fetta del linguaggio musicale o prettamente legato ai generi musicali sia fondato sulla consapevolezza che l’opera si fa assemblando e che non vi è alcuna possibilità di creazione senza questa forma di autocoscienza (anche Mozart copiava e si autocopiava!). Contrappunto, bootleg, cover, mashup, mixtape, remix, patchwork, versions, remaster, remake, arrangiamenti: la musica sembra aver dedotto da tempo ciò che la letteratura fa fatica ad assimilare.
Nel jazz, le cover e gli arrangiamenti sono alla base di ogni creazione e l’esito è liquido, si pensi al jazz rap contemporaneo; nell’hip hop «the mimetic function has been eclipsed to a large extent by manipulation of the original (the “real thing”): theft without apology – conscious, conspicuous appropriation»;3 nelle arti visive gli artisti si appropriano di alcuni elementi e li usano per i loro significati perché in fondo il «collage, art of reassembling fragments of preexisting images in such a way as to form a new image, was the most important innovation in the art of twentieth century».4
E pensare che sono tanti i modi in cui nella letteratura è possibile assumere la voce degli altri. Per dirne uno: le citazioni. Forma gentile di plagio, il citazionismo, come ogni altra pratica della storia letteraria, ha avuto evoluzioni e periodi singolari. Vita Fortunati in un saggio intitolato Intertestualità e citazione fra Modernismo e Postmodernismo spiega come l’assumere la voce degli altri, il citare insomma, sia un’attività in grado di evolversi nel tempo e assumere le proprie devianze anche laddove sembri semplice intertestualità.5
In breve: «There are not texts, rather there are configurations, richly perverse interlockings of a multiplicity of strong texts».6 Meanwhile, la «plagiomnie» nella letteratura resiste e l’origine del problema, a mio avviso, risiede nell’idea di autentico, nell’originale. Il plagio letterario esiste perché tendiamo a collocare un testo in una posizione di vantaggio rispetto ad un altro o ai suoi discendenti. In breve siamo convinti che esista una verità e, “dopo”, le rispettive ancelle, ma dovremo saperlo che «art isn’t true; art is a lie that enables us to recognize truth».7
È questo atteggiamento che Reality Hunger sembra auspicare per la letteratura contemporanea. Come nella Gemäldegalerie di Johann Michael Bretschneider, David Shields espone il manifesto di una letteratura mashuppata e combinatoria che intende procedere per cumuli e sopraffazioni reciproche, quasi a dire «fate voi la distinzione» fra l’oggetto di creazione e l’oggetto reperito.
3. Per un realismo memetico o: di quanto sia Kitsch credere all’autentico
Se poi ci si guarda attorno, è curioso notare come sia ancora dominante la retorica dell’autentico in una realtà fondata principalmente su riproducibilità, screenshotteria, e via dicendo. Replicare non significa riprodurre («The copy trascends the original. The original is nothing but a collection of previous cultural movements»8) e, se anche fosse, rimane che la letteratura fa a botte (jab jab jab!) con la proprietà privata. Forse, non ci voleva Danilo Kis per capire che «l’autenticità ha sempre un significato territoriale».9
Credere nell’autentico è kitsch. E se, seguendo Herman Broch e Thomas Bernhard, il kitsch sta a metà tra un fatto di certezza e un fatto di ignoranza, la definizione calza parecchio. Marie Darriessecq in Rapporto di polizia: Le accuse di plagio e altri metodi di controllo della scrittura parla della lingua kitsch come di una lingua «tautologica» e «assertiva»: «Il kitsch crede che tutto appartenga, che tutto porti un’etichetta. [….] L’essere kitsch, invece, pensa di appartenersi e di essere appropriato».10 È in questo rapporto tra letteratura e proprietà privata che si intrufola il plagio, perché in fondo:
Il kitsch è un problema di ignoranza estetica, e l’accusa del plagio è una delle sua manifestazioni: occorre infatti essere un po’ “moderni” per immaginare, tra i testi, incroci, miscugli ed echi che non siano dell’ordine del vizio, del contro natura o del complotto. […] L’antimoderno è il primo a vedere plagi ovunque e a denunciarli11
Il mondo contemporaneo e la teoria della letteratura continuano a dimostrare che qui si processa a patchwork e che ora come ora l’arte è questa: una grande abilità nel linkaggio, una sensibilità tutta osservativa, quella di chi è ladro sì ma del furto giusto. In un saggio straordinario di Alessandro Lolli si ragiona su come i meme abbiano svariate doti, tra cui una che nello specifico che li rende davvero educativi: non sono rubabili, o meglio, lo sono talmente tanto che il furto non è più furto, è l’evoluzione del furto: una sana goduria. Memare, godere della prassi memetica, della re-invenzione: questo è il contemporaneo.
Il meme è strutturalmente non rubabile. O meglio, funziona proprio nella misura in cui viene sottratto e condiviso, restando essenzialmente un’opera open source: se non fosse preso e reinventato, non si potrebbe neppure chiamare meme. In questo senso la prassi memetica è la prima forma espressiva di massa che realizza davvero la morte dell’autore. Funziona là dove non c’è autore, perché non vi è neppure opera. […] il meme è l’opera aperta realizzata. Non più semplicemente attualizzata in modo diverso nella mente di ciascun lettore, ma attualizzata in modo diverso da ciascun memer nella realtà, o in quello spazio semireale che è la virtualità di Internet, comunque intersoggettivo. L’autore scompare perché scompare l’opera che è strutturalmente incompleta: una cornice memetica da riempire e reinventare, che ha senso solo nel momento in cui è riempita e reinventata12
Leggendo Lolli a qualcuno verrà forse in mente Lukàcs perché, allo specchiarsi, Lukàcs ci ha pensato tanto quanto Lacàn. La sua teoria del rispecchiamento non ha niente a che fare con il mimetismo, dunque, con l’adesione bruta al dato referenziale. Al contrario, vi si espone la possibilità di una transcodificazione: non mimesi ma prassi. Dunque per capire bisogna ri-pensare o per dirla alla Sanguineti ‘praticare’ il testo. In termini più prossimi a Lolli, potrei dire che il nostro realismo letterario non è più mimetico ma memetico, e che se ‘memare’ solleva accuse di plagio, è perché, in fondo, la somiglianza così come la sembianza sono forme complesse da sempre, e al mondo fanno paura.
Note
1 D. Shields, Reality Hunger, cit., p. 87
2 ibidem
3 Ivi, p. 98
4 Ivi, p. 19
5«Nella fase strutturalista, l’intertestualità veniva studiata come categoria formale di interazione tra testi; in seguito, nella fase post-strutturalista (Riffaterre e Barthes) si è passati a una fase pragmatica in cui questa categoria si definisce come una modalità di percezione, un atto di decodificazione di testi alla luce di altri testi. Nella fase della decostruzione, l’intertestualità si lega al problema dell’allusione e della citazione nella scrittura come gioco testuale della differenza e della ripetizione» in V. Fortunati, Intertestualità e citazione fra Modernismo e Postmodernismo Il pastiche di Antonia Byatt fra letteratura e pittura, cit., p. 87
6 V. Fortunati, Intertestualità e citazione fra Modernismo e Postmodernismo Il pastiche di Antonia Byatt fra letteratura e pittura, cit., p. 88
7 D. Shields, Reality Hunger, cit., p. 32.
8 D. Shields, Reality Hunger, cit., p. 19
9 M. Darrieussecq, Rapporto di polizia: Le accuse di plagio e altri metodi di controllo della scrittura, cit., p. 95
10 Ivi, p.133
11 Ivi, pp. 133-134
12 A. Lolli, La guerra dei meme: fenomenologia di uno scherzo infinito, cit., p. 94
Giuliana Pala (Oristano,1997) è laureata in Lettere moderne all’Università di Bologna. Ha lavorato come assistente e lettrice per la Georg-August Università di Gottinga. È stata collaboratrice del Centro di poesia contemporanea dell’Università di Bologna ed è tra i fondatori del progetto “Lo Spazio Letterario”. La sua silloge “Lunario” è stata vincitrice degli Esordi 2022 Pordenonelegge. Alcuni dei suoi testi sono usciti su “Nuovi Argomenti” e “Diario di passo”. Al momento vive e studia Italianistica a Bologna.
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In corpertina: Jeff Koons, Fait D’Hiver, 1988; sovrapposta alla pubblicità che è stata accusata di aver plagiato