Forse è un azzardo – ma forse no – dire che quella dei meme è stata la più importante rivoluzione del linguaggio nella storia recente. Di sicuro, però, la loro produzione e circolazione ha illuminato alcune dinamiche fondamentali del linguaggio al tempo di internet – dinamiche verso cui, secondo chi scrive, dovrebbero guardare anche le altre pratiche del testo.
Questa rubrica proverà quindi a intrecciare mondo dei meme e mondo della scrittura, prendendo a paradigma una particolare fetta del mondo memetico: il dank, uno stile che si distingue per saturazione e straniamento del significato. Alessandro Lolli, ad esempio, lo descrive così: «Si parla di dank memes quando il processo di remissaggio si è spinto tanto oltre da rendere illeggibile il meme stesso.»[1] Qualcosa insomma che da una parte ha a che fare col nonsense, ma che dall’altra, paradossalmente, comunica proprio l’accumulo, l’eccesso di significato che si trova alle sue spalle.
Punk e troll
La domanda, quindi: esiste qualcosa del genere in poesia? La risposta è sì – o almeno ci pare si possa leggere in questi termini anche un’operazione tra le più originali della scena poetica degli ultimi anni. Quella di Nuova Poesia Troll.
Giunto quest’anno in libreria grazie ad Argo, Nuova Poesia Troll è in realtà un fenomeno già consolidato nell’underground poetico, dal momento che la sua prima apparizione risale al 2014. La sua natura è infatti originariamente virtuale: si tratta di una pagina Facebook che, con cadenza irregolare, pubblica dei testi in forma anonima. La concretizzazione in libro, quindi, è da vedersi non tanto come la creazione di una forma, di un’organicità di senso cui possiamo dare il nome di opera, quanto, semmai, come testimonianza di una performance che si è svolta già prima del libro (e continuerà a svolgersi anche dopo). Non è secondaria, perciò, la scelta editoriale di ordinare i testi cronologicamente – si tratta di un’archeologia, dell’incanalamento di un flusso che ha la sua ragione innanzitutto nella rete.
Ma che tipo di testi propone NPT? In questo senso ci aiuta il primo dei tre (bellissimi) saggi che chiudono il volume. Carola Borys esplicita infatti con grande chiarezza le caratteristiche fondamentali di NPT, che è definita “punk” per il suo «antagonismo totale», “romantica” «per il desiderio di autenticità» che la anima, “parodica” e “satirica” perché «il bersaglio polemico è primariamente extratestuale e secondariamente intertestuale», “troll” «perché l’intento pragmatico è quello di decostruire la politesse del discorso poetico dall’interno».
I testi infatti si configurano come poesie fuori fuoco, squilibrate, che a livello formale includono tutti gli stilemi e i tic del linguaggio della rete: emoticon (li troviamo già nel primo testo), caps lock (ad esempio in V), abbreviazioni («nn», «tt»), autocensura («c*c**re»), errori di battitura («copn», «santo berbuda») o riconducibili al correttore automatico («ce» al posto di “c’è”) e in generale espedienti che mimano la comunicazione a volte poco curata dei social (come l’abuso dei puntini di sospensione o l’intrusione di «1» in una serie di punti esclamativi).
Soggetti esausti
Gli squilibri più rilevanti, tuttavia, si verificano a livello sintattico e strutturale (l’uso dei versi come degli a capo in grado di ruotare radicalmente il discorso, sospenderlo, contraddirlo) e a livello tematico. Come dice Borys, infatti, quello di NPT è «un soggetto collettivo poetico esausto», che buca la postura socialmente accettata del poeta e piega lo strumento poesia agli argomenti più surreali (LXXIII, sullo «ZEN ROBOT»), dissacranti (V, «POESIA SPERIMENTALE SUCCEDE SOLO DA MCDONALD’S»), turpi e moralmente inaccettabili (la misoginia ricorrente, definita da Borys come la posizione «di un Redpillatore che si prende poco sul serio»).
Verso questa connessione tra temi, toni e assalto alla rispettabilità o coerenza del soggetto si muovono anche i saggi di Roberto Batisti e Federico Ronconi. Il primo parla del «soggetto poetico» del libro come di un «aristocrate decaduto che abbraccia e interiorizza lo squallore circostante», come se «avesse bisogno di questo fondale di schifo contro cui meglio risaltare». Ne consegue che bersaglio degli attacchi di NPT possono essere una serie di «soggetti» più compatti del suo, più pacificati, che trovano la loro ragion d’essere nella sottomissione a «falsi idoli» (sono ad esempio il «poeta di regime» e la «studentessa di Bologna»). Ronconi, poi, porta questa soggettività “vuota” a occupare la «prospettiva degli angeli», rivelatoria in quanto «(par)odiandoci si mette nella nostra stessa prospettiva e ci mostra che stiamo guardando in modo sbagliato le cose».
Deep fried
Si capisce quindi che il centro “funzionale” dell’operazione di NPT sta proprio nell’anonimato. Non solo in quanto «sabotaggio del dispositivo autoriale e abbandono dell’identità narcisistica» (Borys), ma proprio come meccanismo di produzione del senso. È in quest’ottica che si può pensare di applicare anche a NPT la categoria di dank. Del resto, l’anonimato è presupposto dell’esistenza stessa dei meme («il meme è la forma espressiva dello sciame senza centro e senza obiettivo, dell’anonimato radicale»[2]), che viene definitivamente esasperato nella forma dank. Tale esasperazione, poi, si ottiene «grazie alla stratificazione di immagini che diventano simboli vuoti che possono essere usati come armi contro chiunque, perché non ci sono limiti morali».[3]
L’anonimato, la stratificazione, l’immoralità. NPT sembra obbedire in maniera ortodossa a questi tre punti fondamentali, dal momento che l’anonimato è uno schermo costruito (efficace a sollevare dalle responsabilità degli attacchi) ma anche un risultato storico, il punto di massima saturazione del significato in cui si trova la poesia; quindi, una pista politica di tipo iconoclasta. Ed è la stessa NPT, del resto, a sovrapporre la comunicazione poetica a quella di internet («questa poesia / è un’esperienza internet […] al contrario / delle altre esperienze è costante nella misura / e recente sempre. in quanto un’esperienza / internet non è saturabile»). Così NPT si colloca non solo contro o di traverso (cioè con spirito punk) rispetto a ciò che chiamiamo poesia, ma anche nel suo al di là, nella sua metempsicosi in qualcosa di usurato. E il testo LXXXIV, così, può funzionare come vero e proprio manifesto del dank:
npt: L’AFFARE S’INGROSSA
a me piace ripetere sempre la stessa battuta
fino a che nn smette di fare ridere
ed è a quel punto che torna a fare ridere
grazie alla sua vuotezza
sei riuscito a terminare il discorso\ a rendere
impossibile
il suo inizio\ sei praticamente un campione
del sabotaggio\ portando a zero
la funzione sociale dell'uomo
in 1 risata ce sempre la morte
Reiterazione ossessiva, layer, svuotamento della comunicazione, coincidenza tra riso e distruzione, sabotaggio. Nuova Poesia Troll agisce sulle ossa di una tradizione percepita come infungibile e, al pari del dank, coglie il grado massimo di saturazione di un linguaggio, agisce come un meme deep fried lanciato nel mondo della poesia.
[1] Alessandro Lolli, La guerra dei meme. Fenomenologia di uno scherzo infinito, Effequ, 2017.
[2] Ibidem.
[3] Ibidem.
Apparato iconografico: internet found images