Nel 1769 Wolfgang von Kempelen inventò una macchina capace di giocare a scacchi soprannominata Il Turco che presto si guadagnò la fama di essere imbattibile. Era tutto un imbroglio, in realtà alla base vi era posto per una persona che tramite un sistema di leve e magneti poteva controllarne i movimenti.
Nel 1972 Bobby Fischer e Boris Spasskij si affrontavano in quella che fu definita la sfida del secolo. Era la guerra fredda, in un clima di paranoia generalizzata e allo spazio due nazioni si affrontavano sulla scacchiera. Fischer vinse interrompendo il dominio indiscusso dell’Unione sovietica in ambito scacchistico.
Il 6 giugno 1985 Kasparov giocava una simultanea contro trentadue avversari, le simultanee sono tipiche esibizioni scacchistiche in cui dei dilettanti possono competere contro un campione del mondo, i trentadue avversari in questione però non erano scacchisti alle prime armi, erano tutti computer. Kasparov vinse trentadue a zero, nessuno si stupì. «Quella era l’età dell’oro della sfida tra uomo e macchina alla scacchiera. Ma l’età dell’oro sarebbe durata troppo poco.» ( Kasparov, Deep thinking, 2017)
Dodici anni dopo, Kasparov si giocava la partita della vita contro una sola macchina, un supercomputer dell’Ibm da dieci milioni di dollari soprannominato “Deep Blue”. Kasparov perse.
Nel 2017 gli umani erano ormai totalmente scomparsi dall’equazione. Finiti ormai i tempi in cui le partite di scacchi facevano parte di quel sistema complesso fatto di lotte nazionali, flash, spionaggio e ticchettii degli orologi. La nuova frontiera erano le partite tra intelligenze artificiali. Ad affrontarsi il neonato AlphaZero, un vero prodigio visto che il suo allenamento era durato appena quattro ore, e Stockfish , che all’epoca deteneva il titolo di campione. Si giocarono cento partite, Alpha ne vinse ventotto, ne pattò settantadue e ne perse zero. Erano scacchi da alieni, Alpha sbaragliò il suo avversario con un gioco estremamente aggressivo e inaugurò una nuova era, l’età dell’oro della sfida tra reti neurali.
Ho cercato di riassumere mezzo secolo di storia scacchistica, ma come si è arrivati fino a questo punto?
Divenire Alpha, come l’intelligenza artificiale ha trasformato il gioco degli scacchi
Qualsiasi scritto filosofico, secondo Deleuze, deve essere da un lato una specie particolarissima di romanzo poliziesco e dall’altro una sorta di fantascienza (Deleuze, Differenza e ripetizione, 1997). Con questo si intende che i concetti devono intervenire per risolvere una situazione locale, in quanto mutano anch’essi con i problemi con cui si ha a che fare.
Torniamo ora alla nostra situazione. AlphaZero è un algoritmo di intelligenza artificiale basato su tecniche di apprendimento automatico sviluppato da Google DeepMind. È un successore di AlphaGo Zero, un algoritmo progettato specificatamente per il gioco del Go (Gioco strategico di origine cinese in cui le macchine si sono affermate come giocatori competenti solo recentemente in virtù della sua complessità) che a sua volta deriva da AlphaGo, il primo motore capace di battere gli esseri umani nel gioco del Go. AlphaZero a differenza dei suoi predecessori non è progettato per giocare ad un gioco specifico, ma basandosi su un apprendimento non supervisionato può adattarsi ad un numero molto ampio di giochi.
Nel 2017 il team DeepMind ha pubblicato su arXiv un preprint nel quale vengono presentati alcuni risultati ottenuti da AlphaZero in diversi giochi, raggiungendo con poche ore di training un livello sovrumano nel gioco degli scacchi, shōgi (scacchi giapponesi) e superando la forza di gioco di programmi specializzati: Stockfish per gli scacchi e elmo/yaneura ou per lo shogi.
A differenza di programmi come Stockfish non si basa su un sistema di potatura alpha-beta, non valuta le posizioni con un sistema di punteggi stabilito (un pedone vale 1, una regina 9 e così via), ma le sue valutazioni si basano su probabilità di vittoria, sconfitta e pareggio, ciò lo porta a giocare in maniera atipica rispetto ad altri motori scacchistici, giocando spesso in maniera molto aggressiva e sacrificando materiale senza troppe remore.
Alpha è così forte da darci l’impressione di assistere ad un altro gioco, ha di fatto riscritto una serie di principi condivisi nel mondo scacchistico, per esempio il detto di Fischer “e4 best by test” oggi dovrebbe iniziare con d4, visto che Alpha predilige le aperture di donna. La natura della sua architettura non ci dà alcun accesso alle valutazioni svolte da Alpha in partita, sappiamo che sono buone perché vince, questo è tutto.
Gunter Anders per descrivere il comportamento delle persone di fronte alle macchine, ormai giunte ad un livello sovraumano, coniò il concetto di vergogna prometeica. Per Anders l’uomo in quanto non-fatto prova un senso di inferiorità nei confronti delle macchine fabbricate, il prodotto si dimostra migliore del produttore.
Un punto chiave nel ragionamento di Anders è che non siamo precisamente “noi” ad aver fabbricato le macchine, o meglio questo “noi” è una minoranza di tecnici, la maggior parte delle persone non ha idea di come certi macchinari siano prodotti e non prende parte al processo produttivo, non può in qualche modo far altro che vederlo come qualcosa di esterno, che si impone, senza la possibilità di essere sussunto come un prodotto. Ma cosa succede quando nemmeno i tecnici sono più capaci di spiegare come funzioni una certa cosa, come nel caso di AlphaZero? Il concetto di vergogna prometeica resta adeguato? Lo è mai effettivamente stato? O si tratta di qualcosa di differente, di più complesso?
Per risolvere la questione ho deciso di andare in cerca di testimoni.
Il nostro testimone si chiama L, in realtà si tratta di una serie di testimonianze, una funzione composta da vari giocatori di livello medio, frequentatori di vari circoli scacchistici, con un punteggio Elo superiore a 1200. Le domande erano le seguenti: “Cosa provi di fronte al fatto che le macchine siano così superiori agli esseri umani? Cosa provi nel giocare contro un computer e a guardare le sue partite?”
Della varie risposte, che mi è impossibile riportare per intero, il punto che mi sembra più interessante è:
“La cosa che più mi sorprende è il senso di ineluttabilità, è importante osservare le partite giocate dalle AI per imparare. Voglio diventare ineluttabile come la macchina.”
Ora qui mi sembra concorrano due movimenti, il primo è quello di reverenzialità nei confronti dell’algoritmo, che in questo senso ricopre a tutti gli effetti il ruolo di un maestro (interessante a questo proposito sono le osservazioni fatte da Gothamchess, un content creator scacchistico, su quanto AlphaZero abbia influenzato il gioco di Carlsen), il secondo è quello di una qualche spinta a diventare come la macchina. Mi sembra che questi due movimenti concorrano ad un vero e proprio divenire-macchina dell’essere umano, o almeno del gioco umano, è interessante a questo proposito come sia cambiata la valutazione degli alfieri rispetto ai cavalli, da sempre considerati pari, che grazie all’osservazione del gioco dei computer si è scoperto essere semplicemente migliori (Alpha darebbe volentieri un cavallo per un alfiere).
In ogni caso in questo divenire non riesco proprio a vedere nulla della vergogna prometeica, mi sembra anzi che si sia di fronte a una comunicazione continua e per così dire a delle sfere di influenza (seppur unilaterale in questo caso). Alpha gioca come un alieno, ma non per questo raggiunge un livello di trascendenza e indifferenza tale da provocare nel non-fatto un senso di rassegnazione, al massimo funziona come una vera e propria tendenza, non una dialettica, che spinge il gioco umano e lo fa differire. Anders ha elaborato il concetto di vergogna prometeica di fronte all’atomica, che, nella sua trascendenza, rappresentava la negazione del genere umano. Le intelligenze come Alpha non sono negazione di nulla, al massimo sono eccessi, hanno in sé solo qualcosa di positivo di tracotante, di artistico se vogliamo.
Il divenire-umano delle AI
La forza dirompente raggiunta dalle intelligenze artificiali come Alpha zero ha portato a due fenomeni che mi pare interessante indagare e che, seppur diversi, potremmo racchiudere sotto la denominazione “divenire-umano”.
Il primo di questi fenomeni è rappresentato da un problema sorto per i produttori di motori scacchistici e che a prima vista può sembrare paradossale. Il problema è il seguente: come si producono Ai capaci di giocare a scacchi male?
Il problema è stato messo in luce da Kasparov, il protagonista della vicenda Deep Blue, in “Deep thinking”.
Ormai è fin troppo facile produrre algoritmi sovraumani, ma spesso non è questo che la domanda richiede, ci sono tantissimi giocatori principianti che per allenarsi, o anche solo per passare il tempo, giocano contro le intelligenze artificiali, e quindi il problema diventa creare programmi capaci di intrattenere questa fascia d’utenza.
I suddetti programmi devono giocare a scacchi male in maniera convincente, cosa per niente immediata. Per di più non basta semplicemente ridurre la potenza di calcolo e valutazione di un programma come Stockfish perché questo porterebbe ad un gioco per lo più innaturale, il programma giocherebbe benissimo per svariate mosse e poi farebbe un errore clamoroso che nemmeno un principiante avrebbe considerato.
Il problema non è di facile soluzione, infatti non è stato risolto se non in modo obliquo, è più facile a questo punto costruire un’intelligenza artificiale che non sia costruita per giocare a scacchi, ma per imitare il gioco umano di individui di livello medio o basso. A queste architetture non viene fatto imparare a giocare, vengono piuttosto fornite tantissime partite giocate da esseri umani e gli viene richiesto di imitarle. Bot che pretendono di imitare il gioco di una persona specifica, a volte finzionale come la protagonista della serie Netflix “La regina degli scacchi”, sono proliferati negli ultimi anni.
Così assistiamo ad una vera e propria mimesi del comportamento umano da parte delle macchine, cosa paradossale se pensiamo che il problema degli esseri umani è proprio quello di giocare come le macchine.
Il secondo fenomeno riguarda invece l’evoluzione del gioco umano da un lato e di quello delle Ai dall’altro. Assistiamo infatti ad un gioco umano che diventa sempre più noioso, basato su infinite preparazioni e in cui si patta la maggior parte del tempo, su questo punto torneremo nell’ultimo paragrafo quando parleremo di Fischer, mentre i programmi giocano sempre di più in maniera creativa e aggressiva (come già accennato Alpha non si fa troppi problemi a sacrificare materiale per raggiungere posizioni favorevoli). Il risultato è che se uno vuole assistere ad una partita entusiasmante e ad un gioco creativo conviene che si guardi le partite di Alpha rispetto a quelle di Carlsen. Gli umani giocano sempre di più come ci si aspetterebbe da una macchina e le macchine sempre di più come ci si aspetterebbe da un umano.
Assistiamo ad un vero e proprio shift di attributi strettamente umani, come la creatività, l’impulsività, addirittura le tendenze singolari e caratteriali (gli scacchisti diventano sempre più generalisti per quanto riguarda ad esempio le aperture, mentre algoritmi come Alpha hanno delle preferenze molto nette), che ci porta a riferire queste caratteristiche più al gioco tra computer che al gioco umano.
Mentre gli esseri umani diventano sempre di più come delle macchine, queste diventano sempre di più come gli esseri umani.
FischerRandom, gli scacchi tradizionali sono finiti?
Legandomi al discorso del paragrafo precedente mi piacerebbe concludere con un interrogativo sorto in un’intervista fatta a Bobby Fischer in cui l’ex giocatore prodigio dice di odiare gli scacchi. Il gioco degli scacchi nella sua variante tradizionale è giunto ad un punto morto?
Riporto di seguito un estratto dell’intervista.
Intervistatore: “Perché odi gli schacchi, essendo probabilemente il miglior giocatore di sempre?”
Fischer: “Perché so di cosa si tratta, negli sacchi conta solo la preparazione.”
Intervistatore: “E la creatività?”
Fischer: “La creatività è al fondo della lista”
L’intervista prosegue con Fischer che paragona il giocare a scacchi con lo sbattere la testa contro un muro di teoria stabilita, dicendo che servono sempre più computer e team specialistici per avere un piccolo vantaggio rispetto all’avversario, il gran maestro Hikaru Nakamura pur non condividendo molto di quello detto da Fischer concorda su questo punto. Una possibile soluzione viene ravvisata dall’ex campione del mondo nella variante del gioco che prende il suo nome: Fischer Random chess.
FischerRandom anche conosciuta come chess 960, dove 960 sono le possibili posizioni iniziali, è una variante inaugurata da Fischer il 19 giugno 1996 a Buenos Aires dove la posizione iniziale non è quella standard, ma viene randomizzata, eccezion fatta per i pedoni che partono dalla casa usuale e per gli alfieri in cui uno deve stare su casa scura e l’altro su casa chiara.
La variante ha avuto un grande successo ed è tutt’ora una delle modalità più giocate su siti come chess.com, la caratteristica randomizzazione della posizione iniziale rende inutile l’intero bagaglio di teoria in apertura che secondo Fischer soffoca il gioco degli scacchi.
Tuttavia non possiamo concordare con Fischer nel dire che gli scacchi siano diventati un gioco poco creativo e che ormai tutto si riduca allo studio della teoria, l’errore di Fischer è quello di parlare degli scacchi umani come si trattasse degli scacchi in generale. AlphaZero non ha mai letto un libro di teoria, non ha un libro di aperture, e gioca in maniera estremamente creativa e differente. Quello che Fischer ritiene essere scomparso dal panorama scacchistico si è semplicemente spostato, il gioco umano non è più il luogo dove ricercare tutto ciò.
Gli scacchi non sono affatto diventati un gioco noioso e sterile, semplicemente il futuro non sono i cervelli a base di carbonio degli esseri umani, ma le reti neurali ad apprendimento non supervisionato come Alpha.
In copertina: Hiro Tanaka Chicarron