Qué otra cosa se puede decir de la muerte
que sea desde ella, no sobre ella
Es una cosa sorda, muda y ciega
La antropomorfizamos en el temor de que no sea un sujeto
Sino la tercera persona, no persona, “él” o “ella”
Enrique Lihn
Nulla ha a che vedere la morte con la morte: si potrebbe forse azzardare al peccato dell’estrema sintesi e rendere fruibile, in dieci parole, il messaggio di un’opera come Diario de muerte. Si potrebbe, forse, per sottolineare quanto riduttivo possa essere considerare questa raccolta soltanto l’ultimo respiro poetico di un uomo che si avvicina alla morte. Perché, se da un lato, Enrique Lihn si avvicina alla morte nel significato, dall’altro, prende le distanze dal suo (o dai suoi) significante(i). Nel suo “diario”, morire non diventa infatti soltanto un atto di cessazione, ma soprattutto di ricerca (che significa demistificazione) linguistica.
Tra l’aprile e il giugno del 1988, affetto da un cancro in stato terminale, il poeta cileno decide di convertire così il processo del proprio finire in ultima actuación poetica: si dedica, durante quei pochi mesi, alla frenetica redazione di un quaderno che lascerà ai suoi amici Pedro Lastra e Adriana Valdés, commissionandone la postuma pubblicazione. Alcuni dei testi che lo compongono sono scritti a mano, altri a macchina, alcuni sono senza titolo, in altri mancano delle parole, sostituite da spazi bianchi e punti di sospensione. Il 10 luglio del 1988 Enrique Lihn si spegne nel letto di casa, a Santiago del Cile; un anno dopo verrà pubblicata la prima edizione di Diario de muerte.
L’opera si compone di cinquantaquattro frammenti e si contraddistingue, come sottolineato nel prologo dai curatori Lastra e Valdés, per il fenomeno della corrispondenza tra verso e circostanza degli enunciati (chiamasi poesía situada). La condizione terminale di enfermo del soggetto biografico viene descritta, attraverso la coincidenza con quello testuale, nella forma di quello che appare un vero e proprio stato limbico del “vivo-morente”. I “vivi” rimangono cari affetti, ma non più “simili”, e tra soli “concittadini” è riconosciuta complicità:
Duele separarse, poco a poco, de los sanos a quienes
seguiremos unidos, hasta la muerte
separadamente unidos
Con los enfermos cabe una creciente complicidad
que en nada se parece a la amistad o el amor
[…]
Empezamos a enviar y recibir mensajes de nuestros verdaderos conciudadanos
una palabra de aliento
un folleto sobre el cáncer
Duole separarsi, poco a poco, dai sani ai quali
rimarremo uniti, fino alla morte
separatamente uniti
Con gli ammalati nasce una crescente complicità
che nulla ha a che vedere con l’amicizia o l’amore
[…]
Iniziamo a inviare e ricevere messaggi dai nostri veri concittadini
una parola di conforto
un opuscolo sul cancro
L’esercizio di scrittura diaristica e autoriflessiva del soggetto che affronta l’approssimarsi della propria morte diviene, allo stesso tempo, mezzo per decostruire l’immagine comune che si ha di essa (antropomorfizzata, “mascherata”, cosificata) e decretarne l’irrappresentabilità. La possibilità di poetizzarne l’esperienza viene proposta, più in generale, come possibilità di poetizzare la precarietà e i limiti dello scrivere, denotare, convenzionare: ad essere sotto accusa sono quindi il linguaggio e la rappresentazione. La parola, strumento e atto costitutivo della nostra realtà, è dunque viciada, carente, sempre inadeguata a esprimere tutto ciò che precede, partecipa a, segue la morte:
Nada tiene que ver el dolor con el dolor
nada tiene que ver la desesperación con la desesperación
Las palabras que usamos para designar esas cosas están viciadas
No hay nombre en la zona muda
[…]
Nada tiene que ver la muerte con esta imagen de la que me retracto
Todas nuestras maneras de referirnos a las cosas están viciadas
Y este no es más que otro modo de viciarlas.
Nulla ha a che vedere il dolore con il dolore
Nulla ha a che vedere la disperazione con la disperazione
Le parole che utilizziamo per designare queste cose sono viziate
Non esiste nome nella zona muta
[…]
Nulla ha che vedere la morte con questa immagine che rinnego
Ogni nostra forma di riferirci alle cose è viziata
E questa non è che un’altra maniera di viziarle.
Limitaciones del lenguaje
El lenguaje espera el milagro de una tercera persona
(que no sea el ausente de las gramáticas árabes)
ni un personaje ni una cosa ni un muerto
Un verdadero sujeto que hable de por sí, en una voz inhumana
de lo que ni yo ni tú podemos decir
bloqueados por nuestros pronombres personales
Tenemos aquí a un hombre, apretando el gatillo contra sus sienes
Algo ve entre ese gesto y su muerte
Lo ve durante una partícula elemental del tempo
tan corta que no formará parte de aquél
Si algo pudiera alargarla sin temporalizarla
una droga (¡descúbranla!)
Se escucharían los primeros pálidos ecos
de una inédita descripción de lo que no es
Limiti del linguaggio
Il linguaggio attende il miracolo di una terza persona
(che non sia l’assente delle grammatiche arabe)
né un personaggio né una cosa né un morto
Un vero soggetto che parli da sé, con voce disumana
di tutto ciò che né io né te siamo in grado di dire
bloccati dai nostri pronomi personali
C’è qui un uomo, premendo un grilletto puntato alle tempie
intravede qualcosa tra il suo gesto e la morte
lo vede per una frazione elementare del tempo
così breve da non riuscire a farne parte
Se qualcosa potesse allungarla senza temporalizzarla
Una droga (scopritela!)
Si potrebbero ascoltare i primi pallidi echi
Di un’inedita descrizione di ciò che non è
[What’s one…]
[What’s one…]
[Nadie escribe desde el más allá…]
Nadie escribe desde el más allá
Las memorias de ultratumba son apócrifas
En la casa de la muerte sólo se encuentran agonizantes lectores
algunos vivos que curiosean allí, pero no muertos.
Aunque el libro tibetano de los muertos diga que se dirige a ellos
no hay lectores en el más allá, muertos que no guarden las formas y la gravedad de la noche.
Sólo se recuerdan apariciones
fantasmas, más bien, fantasías, enfermedades de la memoria
Esos señores, en lugar de hablar, responden a la desesperación
de preguntas mediúmnicas sin interés.
Peor aún, suspenden mesas de tres patas para probar que existen.
Como invisibles pionetas
bajan un piano del quinto al cuarto piso.
Quiero saber qué son los muertos, si son
No lo que hacen ni lo que dicen de otros
No las pruebas de su existencia, si existen.
[Nessuno scrive dall’aldilà…]
Nessuno scrive dall’aldilà
Le memorie da oltretomba sono apocrife
Nella casa della morte si trovano solo lettori agonizzanti
alcuni vivi che vanno a curiosare, ma non morti.
Per quanto il libro tibetano dei morti si dica a loro diretto
non esistono lettori nell’aldilà, morti che non conservino le forme e la serietà della notte.
Si ricordano solo apparizioni
fantasmi, o meglio, fantasie, malattie della memoria
Questi signori, anziché parlare, rispondono alla disperazione
di disinteressate richieste medianiche.
O peggio, fanno levitare treppiedi per dar prova d’esistenza.
Come manovali invisibili
spostano un pianoforte dal quinto al quarto piano.
Voglio sapere cosa sono i morti, se sono
Non cosa fanno né cosa dicono di altri
Non voglio prove della loro esistenza, se esistono.
BIOGRAFIA
Enrique Lihn Carrasco (1929-1988) è ricordato come uno dei poeti cileni più influenti del Novecento. Si è dedicato anche alla narrativa, al teatro, alla saggistica, alla pittura e al disegno. Ha pubblicato più di venti libri di poesia, tra i quali Nada se escurre (1949), La pieza oscura (1963), Poesía de paso (1966), Por fuerza mayor (1975), París, situación irregular (1977), A partir de Manhattan (1979) Noticias del extranjero (1981), La aparición de la Virgen (1987), Diario de muerte (1989).
In copertina: Grande rosso P. N. 18, Alberto Burri, 1964.