Gerardo Iandoli tre inediti

La massa dell’angelo: su tre inediti di Gerardo Iandoli

Il cerchio è una serie di corpi intrecciati
e ruota intorno a una fontanella
che schizza sfottò di scherno.

Dei tubicini, teneri al tatto, vivificano
l’idraulica, che proietta grumi amaranti
contro i gas ocra in cielo.

Il santo con l’ascia taglia i tubi:
allora cala la cappa e i gas sono
polveri, poi catrami.

Non più protetti dalla coltre in zampilli
i corpi sono l’ennesimo strato:
il santo li segna atono.

La fonte si contrae in un gesto isterico.

*

Il cemento compatto forma un mare
smunto in uno sgocciolare di dopamina.

Una sola crepa segna una sorta
di sguardo occluso, prono di paura.

Si alza una sabbia sulfurea: una mano
sembra accarezzare quella ferita.

Allora l’occhio si apre e il cemento
ribolle: una pelle nuova si inviscida.

*

La massa dell’angelo è immersa nella
vasca di contenimento: ribolle
la soluzione salina e le cannule
si scatenano verminose e sciocche
sulle narici e sulle labbra grigie.
Gli risucchiano sangue di zaffiro
con avidità: quei tubi sono ventose
che sformano la fisionomia antropica
in un collasso ribosomatico.
La massa sparisce e ne resta l’energia
a disegnare vuoti di sistemi
linfatici, nell’acqua sempre più ossigenata.
Le ali sprofondano mostrando l’anima
di acciaio: in controluce un codice.

«Il cerchio è una serie di corpi intrecciati»: dove siamo? Forse di fronte a una osmosi fra vita e morte, che trascende la volontà di un soggetto e anzi si compie in un tempo in cui un ente come il soggetto è incontemplabile: il senso dell’incarnazione o disincarnazione non è dato né dalla fontanella, che irride, né dal santo che la compie. Eppure: tutto è passibile di essere chiamato al diverso da sé, e al di là della fragranza delle note cromatiche, grumi e gas precipitano verso solidi più complessi, la scena è dominata dall’idraulica e anche il santo sembra un avatar, il risultato di un processo che lo svuota. L’intensificazione fonica degli ultimi tre versi, che amplificano e variano le armoniche vocali e successivamente la marzialità sdrucciola, conferma infatti l’ineluttabilità di un mondo macchinico, per quanto trasfigurato da sguardo neo-mitologico. Nel secondo e terzo inedito, le dinamiche biomeccaniche di accumulazione della forza vitale sembrano compiersi sotto sforzo e quindi contro natura: nel secondo però è una presenza antropica, una mano, che attraverso il rito del toccare rigenera la vita, immerso nel suo ambiente sulfureo, organico e reattivo. Nel terzo invece, coloro che svuotano l’angelo del sacro mostrandone la natura di artefatto (l’anima di acciaio, come un fantoccio) sono inconoscibili: non importa quanto le creature trascendono l’umano, c’è sempre qualcosa di più grande, un principio primo di violenza che le sovrasta. La versificazione chirurgica e il lessico tecnico-scientifico allontanano il phatos dell’immaginario orroroso, rappresentandolo in un certo senso come familiare e impermeabile al tempo. L’apparente sospensione di giudizio rispetto alla visione incùbica potrebbe far pensare al gioco: in questo caso l’allucinazione sarebbe una modalità neutra della creazione, un modo di costruire immagini restie alla forza gravitazionale che vorrebbe trasformarle in metafore, allegorie. Tuttavia, la tenerezza del gesto tattile di risveglio, e i processi che si compiono in quest’ambiente biologico ricco e complesso, hanno qualcosa di troppo familiare. Sono persuaso che, anche se in assenza, ciò si delinea sullo sfondo di questi testi sia un desiderio di oltre-materialità, di trascendenza. L’impossibilità di esserci davvero, di raggiungere la dignità di ciò che pensa ed esiste assolutamente (ab-solutus: slegato, indipendente), è ciò che pone sullo stesso piano ominidi, angeli e santi; per non parlare del conflitto con il codex come passato e determinazione, che ci riguarda al punto da chiamarci in causa, per forza.

Gerardo Iandoli (Avellino 1990) è laureato in Italianistica all’Università di Bologna. Attualmente è dottorando e lettore d’italiano presso l’Università di Aix-Marseille. Ha pubblicato il libro di poesie “Arrevuoto” (Oèdipus 2019). Scrive di poesia per Strisciarossa e di narrativa per Argo.

L’immagine di copertina è tratta dall’opera “Scoria n° 2” di Devis Bergantin.