Come internet e le interfacce digitali mediano le nostre emozioni? Quali sono le possibilità empatiche legate al digitale? La ricerca di Kamilia Kard indaga la costruzione dell’identità nell’era di Internet, dalle possibilità di rappresentazione online e sperimentazione del sé (filtri facciali), ma anche il rapporto tra corpo fisico e corpo digitale. Abbiamo fatto una passeggiata per Toxic Garden parlandone insieme, venite con noi!
Ciao Kamilia, bello vederci qui! Per iniziare, mi piacerebbe fare un piccolo tour di Toxic Garden insieme a te. Possiamo muoverci mentre parliamo. Mi racconti come è nato questo progetto e quali sono le sue caratteristiche più importanti?
Toxic Garden nasce da un’esperienza di osservazione di un gruppo di adolescenti alle prese con la sperimentazione del sé online. Durante un workshop di programmazione di mappe di Roblox [Roblox è una piattaforma di gioco online e un sistema di sviluppo per la creazione di videogiochi ndr], ho notato che alcune giovani ragazze si trovavano in situazioni sociali all’interno del metaverso che le portavano ad avere uno stato d’ansia e di apprensione. Approfondendo la questione, ho scoperto che le loro azioni erano motivate dalla paura di essere bullizzate, o comunque maltrattate da un gruppo di altri avatar che, per via del loro abbigliamento, identificavano come una sorta di gang digitale. Da qui è nata l’idea di lavorare sulle relazioni tossiche che si sviluppano online, rapporti che mutuano le loro caratteristiche dalla vita quotidiana delle relazioni interpersonali e si riversano anche nel doppio digitale.
Come spieghi in Arte e Social Media, “la proiezione del sé in rete non è solo rappresentazione, ma una composizione complessa che tiene conto di una moltitudine di esperienze”. Come si collega l’ambito delle relazioni a quello del doppio digitale?
Toxic Garden si inserisce nel contesto della mia ricerca sulle emozioni esperite online e comunicate attraverso i social network, le piattaforme di comunicazione e di gaming, come in questo caso Roblox.
Ci troviamo ora su Mughetto, una delle piante di Toxic Garden. L’ambiente è caratterizzato da diverse piante tossiche giganti, sette grandi strutture in totale, che simboleggiano le relazioni che si possono instaurare online e offline. Le ho scelte come metafora perché, come le piante che rilasciano sostanze tossiche per difendersi dai predatori, anche le persone possono assumere atteggiamenti tossici per paura – anche se a volte questo comportamento diventa narcisista e dannoso per le relazioni stesse. Un altro esempio di pianta tossica è il Tasso comune (Taxus baccata), una delle piante velenose più diffuse in Europa, che riconosciamo dalle tipiche bacche di colore rosso.
E noi anche siamo delle piante? Cioè degli ibridi tra umano e pianta?
Si, in questo momento siamo entrambe delle piante di stramonio. La generazione delle skin è automatica all’interno del gioco, ogni volta che l’utente entra o muore assume un nuovo corpo.
Parlando di corpo, Mi sembra che nel tuo lavoro il rapporto tra corpo fisico e il corpo digitale prende forma attraverso la danza, come si inserisce questa pratica in Toxic Garden?
Il tema della danza è centrale. La danza è un linguaggio universale che permette di creare comunità e di comunicare con gli altri. Fin dagli albori della società, la danza è stata utilizzata per creare rituali, collettività e abitudini condivise che portavano al benessere di gruppi e comunità. In questo senso, la danza rappresenta un elemento fondamentale per la coesione sociale e la creazione del senso di appartenenza. Inoltre, la piattaforma Roblox offre molti mondi basati sulla danza, che rende questo tema ancora più significativo.
Quindi la danza collega anche la prospettiva personale a quella collettiva? In “Dawn of the New Everything” (2017) Jaron Lanier, pionier* degli studi sulla realtà virtuale, spiega che la VR doveva essere “come i sogni lucidi, tranne per il fatto che più di una persona può assumere un ruolo nella stessa esperienza”. È interessante come questa sua idea si lega al mondo virtuale di Toxic Garden, che condivide l’idea di costruire una performance collettiva. Quanto è importante la condivisione, la partecipazione collettiva, nell’esperienza di Toxic Garden?
Nella performance di Dance Dance Dance, dentro a Toxic Garden, ho creato un mondo onirico per esplorare le emozioni tossiche. Lo spettatore è invitato a condividere questo sogno collettivo e ad abbandonare la realtà per un breve periodo di tempo. La danza diventa un linguaggio astratto per affrontare una tematica complessa in modo surreale ma naturale. La performance si svolge in un ambiente chiuso e utilizza un linguaggio simbolico per creare un’esperienza immersiva per lo spettatore.
Magari mi ricollego a questo punto sulla danza per la prossima domanda, ma se vuoi prima cambiamo setting. Andiamo da qualche altra parte. Portami dove preferisci!
Andiamo nel mondo di Narciso? No, di là. Ah, ecco.
E qui siamo completamente diversi, tra l’altro, a livello di skin.
Quindi si potrebbe dire che è attraverso la danza e la performance che il mondo virtuale di Toxic Garden si propaga al di fuori della piattaforma, in qualche modo anche grazie e attraverso il corpo. A proposito, mi piacerebbe chiederti qualcosa su “HERbarium. Dancing for an AI”, performance che ho avuto l’occasione di vedere a Bologna durante Art City, dove il corpo della ballerina e i corpi digitali delle piante danzano insieme. Mi dici qualcosa di più su questo lavoro? Che ruolo gioca il glitch, l’errore?
Nel progetto, ho esplorato il rapporto tra realtà e movimento digitale attraverso la collaborazione tra me, l’intelligenza artificiale e le danzatrici. L’IA ha tracciato i movimenti delle danzatrici e li ha trasformati in animazioni, creando a volte degli errori. Ho conservato alcuni di questi errori perché li ho considerati un valore aggiunto alla coreografia, dando all’IA un ruolo autoriale. In una seconda fase, ho lavorato con altre tre danzatrici per creare una coreografia basata sugli errori dell’IA. Ho applicato questa coreografia alle piante e si sono verificati nuovi errori, dovuti alla loro struttura, diversa da quella umana. Infine, ho chiesto alle danzatrici di imparare la coreografia dell’IA, reinterpretandola e inserendo a loro volta degli errori umani. La performance finale è una messa in scena di questo complesso intreccio di interpretazioni tra umano e digitale, mediata dall’occhio dell’IA. Quest’ultima, pur rappresentando una forma di “tradimento” della realtà, funge anche da elemento rivelatore, mettendo in luce le caratteristiche specifiche e le dinamiche interspecie che si intrecciano tra le diverse entità.
È un approccio interessante, invece di respingere gli errori, accoglierli e valorizzarli apre sicuramente a prospettive positive sul tema del rapporto tra uomo e tecnologia. Soprattutto in un momento in cui le IA generative fanno per noi ormai qualunque cosa (immagini, testi, persino canzoni) e gli errori delle piattaforme danno da una parte vita a scenari preoccupanti, dall’altro diventano dei meme sulla presunta stupidità delle macchine.
Comunque, come usciamo dall’ambiente di Narciso?
Dobbiamo cercare i fiori che si baciano.
Giusto, questi qua? Spero di non cadere in qualche buco. L’altro giorno stavo facendo un giro su Toxic Garden e sono entrata per sbaglio in un labirinto rosa e non sono più riuscita a uscirne.
L’uscita c’è, ma è molto difficile da trovare.
E ora dove sono? Ah, ero appena scomparsa, rieccomi. Ti sto seguendo.
Andiamo su Infinite Dance Loop, che è molto luminoso.
Prima di chiudere, avrei due ultime domande, un po’ più personali.
Come vivi il tuo rapporto con la tecnologia? In particolare in proposito al processo di avatarizzazione e il fatto che online abbiamo molteplici versioni di noi stessi. Quali sono i tuoi avatar online, le tue diverse rappresentazioni virtuali?
È una bella domanda, l’avevo notata quando me l’hai mandata in anteprima e la trovo una domanda divertente. In Arte Social Media, parlo del “pacchetto avatar” come un caleidoscopio di identità digitali che popolano le interazioni online. Nel mio caso, ognuna di queste identità è come un frammento di me, un riflesso di un aspetto della mia personalità.
Si dividono in avatar super realistici su piattaforme come Memoji, Zepeto e Roblox (tranne su Toxic Garden, per le ragioni viste sopra). Sono rappresentazioni digitali che incarnano la mia essenza. Oltre ai miei avatar realistici, invece, ho una collezione di avatar da gioco che popolano mondi virtuali di MMO e role-play. Questi avatar non sono me, ma piuttosto i personaggi che divento quando varco le soglie di questi mondi. Ognuno di loro ha una sua storia, una sua personalità, e io mi diverto a plasmarli e interpretarli. Infine ci sono gli avatar fantasy, creature immaginarie che popolano piattaforme come Second Life.
Ultima domanda: Come internet e le sue interfacce mediano e influenzano le tue emozioni?
Internet e le sue interfacce influenzano tutte le nostre emozioni, per esempio modellano il modo in cui mi esprimo a seconda della piattaforma e del destinatario. A volte, su piattaforme come WhatsApp, mi ritrovo ad assumere un tono più distaccato, mentre su Messenger, con la sua interfaccia più amichevole, mi sento più predisposta a esprimere affetto. Anche le piattaforme dedicate a specifici scopi influenzano le mie emozioni. Su un sito di dating, ad esempio, mi sento più esposta e vulnerabile, mentre su una piattaforma di messaggistica istantanea mi sento più a mio agio e rilassata. Credo che le interfacce digitali non solo facilitino la comunicazione, ma anche la guidino, influenzando il modo in cui percepiamo e esprimiamo le emozioni. Questa influenza è in parte dovuta al design delle piattaforme stesse, ma anche alle nostre abitudini di utilizzo.
Esistono quindi delle vere e proprie forme empatiche legate al web e al digitale?
Certo, diversi studi dimostrano come la simulazione e l’immaginario digitale influenzino le nostre emozioni, soprattutto nei videogiochi, dove ci immergiamo completamente in mondi virtuali, come confermano ricerche scientifiche sulla trasposizione della vita reale in simulazioni. Anche esperienze come guardare unboxing, ASMR o altri fenomeni sociali diffusi online dal 2010 (o anche prima, con YouTube) mi portano spesso a provare emozioni. La domanda è troppo ampia per una risposta completa, ovviamente.
Quanto ho attivato la dark mode sul telefono e ho notato un cambiamento. Mi rilassava molto e riuscivo ad usarlo per più tempo.
Anch’io ho subito attivato la dark mode quando è uscita, perché mi aiutava a bilanciare il bianco dato che uso molto il cellulare. Per quanto riguarda l’estetica di internet, trovo che alcune estetiche ormai associate agli anni ’90 siano ripetitive e poco interessanti.
La ciclicità nel digitale è talmente veloce che tutto diventa contemporaneo. Mi sembra di non riuscire più a distinguere i trend, come se tutto fosse in trend contemporaneamente!
È vero, quello che è definito oggi come trend ha già un’altra definizione domani, ma la sostanza rimane la stessa. Cambia solo la percezione o la terminologia. Lo dimostra anche l’esplosione di BeReal l’anno scorso, che quest’anno è quasi sparito. Sembrava che nessuno più ce la facesse con i filtri facciali, tant’è che c’era bisogno di BeReal.
Quando ho letto il tuo libro un anno fa, BeReal era appena esploso e mi ero segnata una domanda per te. Oggi, quella domanda non avrebbe più senso.
Eh si.
In ogni caso grazie Kamilia, per il tuo tempo, è stato bellissimo passeggiare con te!
Per danzare ed esplorare il giardino tossico di Kamilia Kard segui questo link