Articolo di Lorenzo Aimo, Flavia Criscione, Beatrice Sartori, Eleonora Stacchiotti
La vita intelligente non può essere monopolizzata. E lungi dallo scomparire nell’immaterialità dell’aria, il corpo si complica, si replica, sfugge all’organizzazione del normale […] questa nuova malleabilità è dappertutto: nei passaggi di stato della transessualità, nelle perforazioni dei tatuaggi e piercing, nei marchi indelebili delle scarificazioni, nella vita batterica, nelle protesi, negli sciami di matrici vaganti.
(Sadie Plant, Zeros + Ones. Digital Women + The New Technoculture, 1997)
Lo spazio cross-mediale Parentesi – estensione espositiva di Roma Smistamento – ospita Il corpo [fra parentesi], mostra a cura di Carlo Settimio Battisti che ha coinvolto Abraxass, BodySnatchers, Mitikafe, Indiara Di Benedetto, Francesco Paolo Gassi, Bora Murmure ed Emma Scarafiotti, in un’indagine transmediale sul corpo. Attraverso il linguaggio fotografico, l’immagine digitale, il video, il suono e la possibilità generativa dell’AI l* artist* mostrano un corpo assemblato e moltiplicato; non superficie liscia e igienizzata ma, al contrario, costellata di cicatrici e mutazioni date dal contatto con matrici organiche e inorganiche.
I quindici lavori in mostra si collocano esattamente nella dimensione “seamless” – senzasoluzionedicontinuità – dove le digital politics che regolano i corpi nella loro visibilità algoritmica e accessibilità allo spazio virtuale si intrecciano ai sistemi normativi irl. Sin dal nostro primo corpo-account su Netlog/Facebook/Instagram siamo abituat* a percepire la nostra rappresentazione digitale come un doppelgänger di cristalli liquidi, che fluisce nel mare di dati per riaffiorare sui nostri schermi e su quelli dell* nostr* amic*. Ma l’incontro del corpo con la rete e le tecnologie – comprese tutte le forme possibili di body hacking – non avviene solo nella smaterializzazione e manipolazione dei suoi pixel. Piuttosto, trovando punti d’incontro con il non umano, il corpo diventa sempre di più un assemblaggio complesso che rivendica la sua instabilità, e si innesta con cavi, conchiglie e nuovi organi per intessere immaginari metamorfici.
Emma Scarafiotti, Neptune: Birth of a Shell, 2023
L’eterna e diffratta (ri)configurazione del corpo queer si presenta così come un’utopia postumana in Nettuno: Birth of a Shell (2023), dove l’artista Emma Scarafiotti ibrida pellicola 16 millimetri e intelligenza artificiale per ottenere un morphing filmico dove il guscio/conchiglia diventa culla per la metamorfosi del corpo. La mutazione avviene anche nei corpi modellati in 3D di Bora Murmure, mutaforma appartenenti completamente al regno digitale, che diventa uno spazio sicuro dove trascendere le norme e la stigmatizzazione in tutte le loro forme. In Transition (2023), poi, il corpo abbandona completamente lo scheletro e si evolve nel suo involucro brillante e lucido danzando, come in un rituale liquido.
BORA Murmure, Transition, 2023
Ma cosa significa mettere il corpo fra parentesi?
La parentesi astrae un elemento da un testo e lo evidenzia, secondo diverse modalità: crea gerarchie, isola dei dettagli, crea collegamenti/hyperlink esterni al discorso. Graficamente, incide. Taglia il ritmo. Seziona la frase. Mettere il corpo fra parentesi significa dissezionarlo, astrarlo dalla struttura interconnessa a cui appartiene e sottoporlo a un’esaminazione accurata, minuziosa. I lavori dell* artist* sono connotati dallo stesso sguardo chirurgico che viene adottato nell’asetticità dei laboratori scientifici: è lo sguardo che disseziona corpi privi di vita, ed è sempre lo sguardo che, quando reso operativo dalla tecnologia – nell’apparente immaterialità del digitale – viviseziona.
Questa operazione di tecno-chirurgia è rafforzata dalle luci al neon bianche dello spazio espositivo, che offre ai corpi presenti nelle installazioni dell* artist* le condizioni di esposizione necessarie per la vivisezione. La necessità scientifica di sezionare corpi per stabilirne i connotati biologici si è poi traslata, su un livello scalare più superficiale, nella pratica fotografica per attestare e certificare visivamente le catalogazioni del corpo umano secondo determinati concetti scientifici, patologici e normativi. Ora, all’interno dell’assemblage tecno-digitale, la dissezione del corpo viene attuata visivamente – e senza perdita di sangue – per manipolare i significati che si sono stratificati precipitando dai discorsi medicalizza(n)ti e biologici.
L* artist* si riappropriano dello sguardo chirurgico e biologico attraverso le tecnologie digitali per sezionare in frammenti visivi il corpo, manipolando e riassemblando i legami semantici: il corpo e le sue parti vengono astratti dalla realtà in presa diretta, anestetizzati in una trasmutazione (biplanare e bidimensionale) per apparire su uno schermo, vanificati nella loro carnalità, appiattiti nella loro rappresentazione densa di significati, di cui il digitale permette il riassemblaggio indolore.
Nella serie Bodies (2024) lo sguardo fotografico di Francesco Paolo Gassi applica il metodo chirurgico alla superficie del corpo prostetico, ferito dall’innesto dell’inorganico nell’organico, sfaldando i margini della definizione di un corpo abile, perfetto. In Virtually_in_love_with_you (2021–ongoing) le parti di corpo di Mitikafe incorniciate dalle griglie di Photoshop mettono in mostra l’operazione di dissezione digitale: le parti astratte dal tutto vengono mostrate nel farsi oggetto di manipolazioni, intersezioni di pelle e tecnologia. Nell’era della riproducibilità digitale del corpo, esso diventa infinitamente generabile. I collage digitali di Abraxass enfatizzano all’estremo la moltiplicazione del corpo digitale, riunendo i risultati in un’amalgama che fa scoppiare ogni possibile attribuzione di un significato singolare, stabile, univoco. La generatività non può fare a meno della quantità per produrre: tracce di sezioni di volti precedentemente acquisite vengono ricombinate da Indiara Di Benedetto in una rappresentazione che non permette il riconoscimento.
Mitikafe, Virtually_in_love_with_you, 2023
In inglese, il verbo to hack designa l’atto di fare a pezzi qualcosa in modo violento, grossolano, spesso senza mirare con esattezza. Nel ’72 John Berger, ripercorrendo la storia del nudo, rimarcava la dinamica di sguardo che agisce trasformando un corpo in un oggetto1. I corpi-oggetti femminili, in queste evocazioni, erano creati dal distanziamento, dalla misurabilità, dall’appropriazione ma anche dalla frammentazione. Migliaia di tagli (fotografici) in immagini del femminile sezionano organi impedendoci di identificarli come persone: non possiamo fare a meno di pensarli come corpi. Quando un corpo è messo tra parentesi, però, non possiamo più permetterci di attuare una rimozione psicologica, così che quello che era un feticcio si presenta come un intreccio auto-evidente di mostruosità queer. È il caso di Pixel Affection (2023), dove Body Snatchers attinge proprio al senso di nostalgia dell’immaginario fantasy e folkloristico della sua infanzia per realizzare i suoi alter ego digitali. Soprattutto all’interno dei sistemi informazionali, sezionarsi per disseminarsi può diventare azione, conoscenza condivisa e quindi possibilità. In questo senso, forse un intervento di infiltrazione corporale nei domini visivi è una maniera di tagliare altrimenti, fare di uno spazio una piattaforma e di un’immagine un dispositivo che lavorino contro le forze centripete tardo-capitaliste di profilazione, sorveglianza e di fagocitazione del corpo queer all’interno di parametri omonormativi.
Una mitosi, ad esempio, è una nascita ma anche una divisione: in questo processo non si distinguono i confini dei corpi o le materialità di origine e di arrivo, tutto è collegato. Le immagini dei corpi qui sono un punto tra gli infiniti nodi delle simpoiesi, dentro la quale si intravedono processi di hackeraggio che sono anche fare comune, sequenzialità degli embodiment digitali che sono anche kinship, tagli che sono anche proliferazione.
Francesco Paolo Gassi, I vetri nella spalla/Orecchio, Serie Bodies, 2024
Quali sono le potenzialità, dunque, di un corpo fra parentesi? Una domanda che rievoca la più nota: “Cosa può un corpo?”. In contrasto rispetto al corpo “moralizzato” – un corpo che si orienta verso la mente, in quanto polo principale che dispone degli altri organi per i suoi fini – Gilles Deleuze proponeva l’acefalo, il corpo senza testa2. Se ipotizziamo che un corpo “può parlare” e che ogni arto possiede un’intelligenza capace di autodeterminarsi, di individuare il proprio sé, allora tutti i corpi di Il corpo [fra parentesi] sono acefali: senza testa, senza morale, senza pensiero, senza idea. Si s-materializzano e riemergono come prodotti audiovisivi mediati, in pixel. Ed è così che l’assemblaggio corpo-macchina si configura come qualcosa di più della somma delle sue parti: frammenta e spezzetta l’intero senza sottrarre niente, ma, al contrario, aggiunge.
Le configurazioni visuali dell* artist* prendono forma-parola, lasciando indietro l’organicità del corpo rappresentato. Questo accade nel già citato lavoro di Gassi, ad esempio, che mostra una protesi uditiva chiamandola Orecchio (2024), o nell’opera di Mitikafe, in cui il corpo diviene un significante come altri dell’interazione fra macchina e vivente, vero soggetto delle installazioni mobili su schermo. Un soggetto che Abraxass trasforma in mero mezzo espressivo per frantumare simbolicamente i corpi, scorporandone gli elementi. Se è pur vero che la memoria non risiede solo nella mente, i corpi mutilati di Abraxass sembrano aver dimenticato di essere materia, e divengono un’immagine bidimensionale di un processo di moltiplicazione che sfalda, trova nuove configurazioni estetiche e lascia che l’umano divenga equino.
È nel rimescolamento audace, privo di morale e principio – se non quello del gusto estetico e dell’associazione visuale ritmica – che si rompe dunque la gerarchia della mente sul corpo, o meglio, della stasi sul processo. La parentesi si conferma dunque strumento di scomposizione, sminuzzamento e ricombinazione di un corpo impallidito ed esangue che si fa potenzialmente-corpo e parla per sé, mischiando la sua voce a quella di un digitale che sembra avere più agibilità di un corpo fisico.
Abraxass, Horse, 2019
Il [corpo] non è dunque smaterializzato ma moltiplicato, sezionato e riassemblato attraverso dispositivi e media. L’assemblaggio digitale crea più labbra, più orecchie, più genitali, più occhi3, trasformandoci in organismi multi-ricettivi, pronti a recepire non solo informazioni ma sensazioni, emozioni. La parentesi è limite – ma è anche lo spazio di pratica politica e autocosciente dove il confine del corpo non è più epidermico, dove si rinegozia e risemantizza fra i canali del digitale e una multiforme rappresentazione asettica dell’organico.
In fondo, la possibilità di una presa di coscienza che spiani la strada a pratiche collettive in cui corpi, cavi, conchiglie e schermi non vivano in categorie separate – pur se fuori dalle parentesi tonde del codice – dipende dall’occhio (organico o digitale) di chi guarda.
Il corpo [fra parentesi], Installation view
In copertina: Indiara Di Benedetto, Portrait of a Generative Memory results, 2023
- John Berger, Ways of Seeing, BBC television series, episode 3, 1972 ↩︎
- Gilles Deleuze, Cosa può un corpo? Lezioni su Spinoza, Ombre Corte, Verona 2020. ↩︎
- Christian Nirvana Damato, Il Manifesto della Moltiplicazione degli Organi. Corpo, identità, tecnologia, desiderio, Aliberti, Reggio Emilia 2024, p. 55. ↩︎